We found 43271 price guide item(s) matching your search

Refine your search

Year

Filter by Price Range
  • List
  • Grid
  • 43271 item(s)
    /page

Lot 853

(Nijmegen, 1610 - Delft, 1677)La cuoca Firmato W. V. Od? Olio su tela, cm 100X122Provenienza:Da etichetta sul retro: Gemeentemuseumdi Den Haag, inv. n. 22-51Amsterdam, vendita Paul Brandt il 16 ; 19 maggio 1972, n. 33Amsterdam, Kunsthandel Gebr. Douwes 1972 e 1984Haag, vendita Glerum 1994Esposizioni:Londra, Douwes, cat. N. 16 (come Jan de Bray)Willem van Odekercken nel 1631 era attivo a Haag e dal 1643 è documentata la sua presenza a Delft. La tela in esame è tipica della sua produzione, dedita a descrivere scene di cucina con giovani cuoche, nature morte e animali. Dall'osservazione diretta della nostra composizione possiamo ben valutare le qualità mimetiche e descrittive del pittore, in modo particolare nel raffigurare i frutti e i canestri, ma ancor più, nel modo in cui riesce a dar vitalità agli animali, che divengono vere e proprie presenze, 'ritratti', con la medesima cura delle persone. A confronto con il dipinto qui presentato è la simile 'Cuoca con bacile di porcellana, mele e un oca' esitata presso la Christie's di Amsterdam il 10 novembre 2008, lotto 7.Bibliografia di riferimento:H. Wichmann, Mitteilungen über Delfter Künstler des XVII. Jahrhunderts, Oud-Holland 42,1925, pp. 60 -71E. Gemar-Koeltzsch, Hollandische stillebenmaler im 17. Jahrhundert, Lingen 1995, III, pp. 752 ; 753

Lot 854

(Venezia, 1699 - 1763)PastorellaOlio su tela, cm 94X76Le fonti storiche concordano nel confermare che Giuseppe Nogari fu allievo di Antonio Balestra, sottolineando che nel periodo che passò alla sua scuola, non diede mai contrassegni di quella egregia maniera, tenera, pastosa, vaga e naturale, che da sé si formò di poi (Orlandi- Guarienti, 1753, p. 235). Formazione che si presume sia proseguita sino al 1718 e in seguito raffinata con il Piazzetta, mentre la registrazione alla Fraglia dei Pittori veneziani avvenuta nel 1726 segna l'inizio della sua autonomia professionale. La tela in esame esprime al meglio la maniera dell'artista, la cui fama presso i contemporanei si deve al peculiare talento nel creare teste di carattere sugli esempi di Piazzetta e di Giovanni Battista Tiepolo, ma anche eleganti ritratti di genere. Ad assecondare questa attitudine fu, secondo Guarienti, il marchese milanese Ottavio Casnedi. Costui 'intendentissimo dell'arte, ed avendo osservato nel Nogari un certo spirito e grazia nel far le mezze figure, gli diede commissione di farne parecchie, intorno a cadauna delle quali avendogli detto il suo giudizio, e datogli utili avvertimenti, di questi tanto egli si approfittò, che in poco tempo colla sua nuova singolare maniera ad un distinto grado di reputazione salì' (Orlandi- Guarienti, 1753).Bibliografia di riferimento:P. A. Orlandi ; P. Guarienti, Abecedario pittorico accresciuto da Pietro Guarienti, Venezia 1753, p. 235.R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 570-578Teste di fantasia del Settecento veneziano, catalogo della mostra a cura di R. Mangili e G. Pavanello, Venezia 2006, ad vocem

Lot 857

(Firenze, 1535 - 1591)Compianto su Cristo morto Olio su tela, cm 116X95Lo stile e la composizione del dipinto suggeriscono l'attribuzione al pittore fiorentino Giovanni Battista Naldini e in modo particolare grazie al confronto con le tele di medesimo tema custodite nelle chiese di Santa Maria Novella e di Santa Croce a Firenze. Il carattere di queste opere bene risponde al sentimento devozionale post-tridentino incoraggiato da Cosimo I e che segnerà la produzione artistica tardo cinquecentesca toscana. Il paragone con le opere citate fa supporre una datazione alla seconda metà del secolo, verosimilmente dopo il soggiorno romano dell'artista avvenuto intorno al 1575. Nella Città Eterna, Naldini lavorò a San Giovanni Decollato e a San Giovanni dei Fiorentini, oltre ad affrescare la cappella Altoviti a Trinità dei Monti. A questo momento storico, per analogia cromatica e regia scenica, possiamo, con la dovuta prudenza, datare la tela in esame. Anche se una maggiore corrispondenza si coglie osservando la Deposizione dalla croce eseguita dal pittore fra il 1575 e il 1584, per la Cappella di Lodovico da Verrazzano in Santa Croce, elogiata dal Borghini 'per le molte copiose di figure e vaghissima di colorito', secondo una riscontrabile scelta narrativa.Bibliografia di riferimento:R. Borghini, Il Riposo (1584), I, Milano 1967, pp. 101, 112, 114, 190, 197, 205, 588, 613-619A. Giovannetti, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1987, II, pp. 779

Lot 858

(Bologna, 1530 - Roma, 1576)Madonna col Bambino e San GiovanninoOlio su tela, cm 95X76Bolognese di nascita e collaboratore del Primaticcio, l'attività di Sabatini si svolse prevalentemente a Bologna, ma furono fondamentali i suoi soggiorni a Firenze e a Roma. Nella città granducale lo vediamo lavorare con Giorgio Vasari nella decorazione di Palazzo Vecchio e compare nel 1565 tra gli artisti che realizzarono l'allestimento per le nozze di Francesco de' Medici. Sempre nello stesso anno risulta iscritto come pittore forestiero all'Accademia del Disegno. Da questi pochi dati si desume che il pittore riscuoteva un discreto successo in un ambiente artistico fiorentino assai competitivo all'epoca. Guardando la sua produzione si scorge assai bene una monumentalità peculiare al manierismo di gusto vasariano e una sorta di classicità che lo poneva all'avanguardia nei decenni subito successivi alla metà del secolo. Senza elencare le innumerevoli commissioni ottenute a Bologna, risulta importantissima quella del 1570 per 'La Madonna Assunta in cielo con angeli' (Pinacoteca Nazionale Bologna): una splendida pala, giocata su forti effetti chiaroscurali, colori squillanti e arditi scorci prospettici. 

Lot 861

(Rizzolo San Giorgio, 1677 - Cremona, 1727)Natura morta Olio su tela, cm 66,5X82,5La tela qui trova confronto con la produzione artistica di Antonio Gianlisi la cui vicenda critica è stata recentemente analizzata da Alberto Crispo. Lo studioso, riprendendo le importanti ricerche condotte da Gianluca e Ulisse Bocchi e Alessandro Morandotti giunge ad una ricostruzione storica di miglior precisione (Bocchi 1998, pp. 172-173, figg. 211-213). Peculiari al pittore sono le opere che esibiscono eleganti tappeti, sfarzosi tessuti e vivaci vasi fioriti che, per l'intrinseca esuberanza cromatica, le modalità compositive e di stesura, consentono come in questo caso un facile riconoscimento attributivo.Bibliografia di riferimento:F. Arisi, Natura morta tra Milano e Parma in età barocca, Piacenza 1995, ad vocem

Lot 862

(Milano, notizie dal 1662 al 1675)Natura morta con frutta, funghi e carciofoOlio su tavola, cm 24X38,5La critica ha solo recentemente identificato la realtà anagrafica del cosiddetto 'Pittore di Carlo Torre', noto sotto il nome di Pseudo Fardella (cfr. L. Salerno, La natura morta italiana, Roma 1984, pp. 280-281). La scoperta da parte di Alberto Crispo di un monogramma (A. M. R) su una tela ha permesso di identificare l'artista in Angelo Maria Rossi, documentato in Lombardia attorno alla metà del XVII secolo (cfr. G. Cirillo, Angelo Maria Rossi alias Pittore di Carlo Torre, in Parma per l'arte, 2003, pp. 77-80). Al Rossi vanno dunque attribuite queste eleganti nature morte in cui l'ambientazione crepuscolare, la luminosità che si accende accentuando le cromie dalle profonde tonalità, evocano il fare pittorico dell'artista. Lo stile trova altresì affinità con la tele note e pubblicate da Giuseppe Cirillo nel catalogo della mostra dedicata alla Natura morta nell'Italia settentrionale (pp. 156-157, n. 47), in cui si riscontrano simili morbide stesure.Bibliografia di riferimento:G. Cirillo, G. Godi, Le Nature morte del pittore di Carlo Torre (Pseudo Fardella) nella Lombardia del secondo Seicento, Parma, 1996, ad vocemG. Cirillo, in La Natura morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVII secolo, catalogo della mostra a cura di G. Godi, Milano 2000, pp. 156-161

Lot 863

(attivo a Roma nel XVII secolo)Quattro apostoli Olio, in prima tela, cm 65,5X48,5 (4)Scarne le notizie storiche e critiche inerenti a Felice Ottini, a noi noto per essere stato allievo di Giacinto Brandi e per le due tele custodite nella chiesa romana di Gesù e Maria in via del Corso. Ad osservare le opere ivi citate, sono infatti chiari i punti di contatto con il celebre pittore, in modo particolare se osserviamo la Maddalena penitente che solo in virtù documentaria è agevole riconoscere al nostro. Ma per aggiungere utili considerazioni all'analisi, i quattro apostoli qui presentati esibiscono una verve pittorica degna del miglior tenebrismo romano, evocando oltre al Brandi gli esiti o le conseguenze stilistiche di Pier Francesco Mola e del singolare Francesco Giovani (Matelica, 1639 - Roma, 1669), artista anch'esso partecipe del gusto molesco e autore delle bellissime teste di carattere custodite nella collezione Doria Pamphilj (cfr. A. Delpriori, M. Francucci, Francesco Giovani 1639-1669, Maltignano 2016). Ma oltre a questi esempi, non possiamo dimenticare di far riferimento al celebre Apostolado Cussida, da considerarsi il vero e proprio antesignano illustrativo delle tele in esame. Rimane comunque indubbio che la precoce morte del pittore, verosimilmente avvenuta nel 1697, ha reso difficile la sua storicizzazione e parafrasando i biografi seicenteschi fu una gran perdita.

Lot 864

(attivo a Roma nel XVII secolo)BattagliaOlio su tela, cm 59X88Le caratteristiche di stile ancora fortemente influenzate da Salvator Rosa e Ciccio Graziani, insieme alla notevole qualità, suggeriscono di ricondurre queste tele alla produzione di Marzio Masturzio (attivo a Napoli e a Roma nel XVII secolo), altresì avvalorata dal buono stato di conservazione delle stesure. I dipinti si possono considerare emblematici per la comprensione del percorso artistico del pittore, la cui biografia scritta da Bernardo De Dominici è accorpata alla vita di Salvator Rosa, di cui l'artista fu allievo, amico e abile imitatore. I due giunsero a Roma e condivisero l'attività aggiornando la loro formazione falconiana sugli esempi cortoneschi e segnando altresì l'evoluzione artistica del Borgognone.Bibliografia di riferimento:G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 382-393, con bibliografia precedente

Lot 874

Adamo ed EvaOlio su tela, cm 85X84,5Provenienza: New York, Duveen Brothers Inc. Gallery (secondo etichetta posta sul retro della tela) I Duveen Brothers furono i più importanti commercianti d'arte a Londra, Parigi e New York dalla fine del XIX secolo alla metà del XX secolo e portarono in America dipinti e arti decorative di alta qualità provenienti dalle grandi collezioni private europee. Sotto la guida di Joseph Duveen (1869-1939) e assistiti da esperti d'arte, in particolare da Bernard Berenson, i fratelli Duveen monopolizzarono il mercato dell'arte americano per cinque decenni. Duveen Brothers ha contribuito a formare le collezioni d'arte di molti magnati americani e alcune di quest diventarono, alla loro morte, il nucleo di non pochi musei come la Frick Collection. Bibliografia di riferimento:M. Secrest, Duveen l'arte di vendere l'arte, Torino 2007, ad vocem

Lot 875

(Verona, 1487 - Venezia, 1553)Orazio Coclite sul ponte Sublicio Olio su tavola, cm 25X52Provenienza:Londra, Appleby (1948)Roma, Galleria Sestieri (1949)Milano, Christie's, 25 maggio 2011, lotto 7 (come Bonifacio de' Pitati)Bibliografia:S. Simonetti, Profilo di Bonifacio de Pitati, in Saggi e memorie di storia dell'arte, 15, 1986, pp. 111-112- p. 264, n. 44(come Bonifacio de' Pitati)L'immagine descrive Orazio Coclite e documenta la volontà di Bonifacio de' Pitati di mantenere quella porzione di mercato realizzando dipinti alla moda, destinati alla decorazione e al collezionismo. A conferma di questa produzione di successo è infatti una lettera a lui indirizzata da Pietro Aretino nel maggio del 1548, in cui si parla di 'alcune istoriette del cavaliere da Lezze' (P. Aretino, Lettere, IV (1550), a cura di P. Procaccioli, Roma 2000, p. 384), in analogia a esempio con le tavole mitologiche già alla Hallsborough Gallery di Londra dedicate a Cimone e Ifigenia e Perseo e Andromeda, anch'esse destinate a soddisfare raffinati collezionisti.

Lot 876

(Verona, 1487 - Venezia, 1553)Muzio ScevolaOlio su tavola, cm 22X53,7Provenienza:Monaco, Hampel, 25 marzo 2015, lotto 537 (come Bonifacio de 'Pitati)In analogia alla celebre decorazione della camera nuziale Bogherini realizzata a Firenze tra il 1515 e il 1520 da Pontormo, Andrea del Sarto, Francesco Granacci e il Bacchiacca, anche le tavole qui presentate del Veronese furono similmente concepite quali elementi di arredo. A inaugurare a Venezia questa tradizione decorativa fu Giorgione (Ridolfi, 1648), documentando come l'artista fu capace di eludere i sentieri battuti, per dare più gioco e libertà alla pittura, per fare nuove proposte persino in ambito ornamentale, creando opere che, secondo Chastel, non si possono dichiarare indegne del maestro (A. Chastel. Giorgione, Milano 2012, p. 17). Una medesima attenzione critica a questa peculiare produzione da parte del Ridolfi è riservata al De' Pitati chiosando: 'Con tali forme Bonifacio si fece strada all'immortalità, il quale dopo aver dato saggio di molta virtù con le cose numerose operate, cangiò le bellezze dei colori terreni coi splendori del Cielo'. Vittorio Sgarbi stesso pubblicando le sue ricerche sul pittore vi riconosce l'analogia con quelle descritte dal Ridolfi: 'Si sono veduti ancora dipinti da questa mano recinti di letto, casse e simili cose. poste in uso in quei tempi per delizie delle abitazioni, ov'erano figurate istorie sacre e profane le Muse con le insegne loro, i Pianeti, Veneri con Amorini, Satiri, paesi e si fatte gentilezze, dalle quali si sono tratti utili di considerazione, essendo tenute in molto pregio, non vi essendo il meglio impiegato danaro che nelle pitture degli uomini eccellenti'. Si deve così evidenziare il ruolo primario di Bonifacio nel panorama del manierismo veneziano, in modo particolare la sua precoce lettura dei testi del Parmigianino, dimostrando una indipendenza intellettuale sorprendente se pensiamo alla tenace egemonia di Tiziano Vecellio. Di conseguenza, possiamo affermare che persino Veronese e Tintoretto si misurarono con la sua revisione dei modelli tizianeschi, di quelli ideati dal Palma e dal Pordenone, senza tralasciare gli esiti successivi dello Schiavone e del Sustris. Sempre Sgarbi indica come possibili parti di questo ciclo le tele raffiguranti 'episodi di storia romana', indicando la difficoltà di immaginare la disposizione originaria trattandosi di un progetto di grande effetto spettacolare e di accurata esecuzione che dimostra come agli inizi degli anni Quaranta Bonifacio sia oramai un artista di successo, intento a intercettare il gusto di un collezionismo colto, offrendo inedite rappresentazioni di fonti letterarie per lo più estranee alla pittura di grande formato. Bibliografia di riferimento:V. Sgarbi, Giovanni de Mio, Bonifacio de' Pitati, Lambert Sustris: Indicazioni sul primo manierismo nel Veneto, in Arte Veneta, 1981, XXXV, pp. 52 ; 61S. Simonetti, Profilo di Bonifacio de' Pitati, in: Saggi e memorie di storia dell'arte, 15, 1986, n. 44, pp. 111-112; 263 ; 265

Lot 877

(Anversa o Mechelen, ca. 1550 - Treviso, 1604/1605)Scena di cacciaSul retro è posta una etichetta del Sze´pmu¨ve´szeti Mu´zeum di BudapestOlio su tavola, cm 15,5X38,5Giunto a Treviso intorno al 1582, Ludovico Pozzoserrato viaggiò lungo la Penisola soggiornando a Firenze, Roma e Venezia. La sua valenza pittorica è ben evidenziata dalla fortuna critica e commerciale raggiunta precocemente nella città lagunare, tanto da poterlo considerare uno degli artisti più importanti della sua epoca e lodato dal Van Mander per i suoi squisiti paesaggi (Cfr. Karel van Mander, Le vite degli illustri pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi, Roma 2000, p. 359). Il talento del pittore si comprende osservando la capacità di adattare la propria nordica formazione al paesaggio veneto, giungendo a una sintesi di rara maestria e sensibilità, evocando non solo gli aspetti della natura, ma anche a descrivere e influenzare la cultura del giardino 'all'italiana', protagonista di sue moltissime composizioni. Possiamo altresì dire che Ludovico fu in grado di cogliere il carattere 'internazionale' del manierismo elegante e colto di Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese e in particolare dei Bassano, che troveranno in lui un interlocutore colto e utilissimo per aggiornare la loro visione della natura.

Lot 878

(Zara, 1510/1515 - Venezia, 1563)Nascita di AdoneOlio su tavola cm 31X65Provenienza:Venezia, collezione Ettore Viancini (1988)Venezia, collezione privataRiconosciuta alla mano di Andrea Meldolla da Rodolfo Pallucchini nel 1971, la tavola raffigura la Nascita di Adone, secondo Ovidio avvenuta miracolosamente dal fusto dell'albero di mirra. La madre, trasformata in albero dagli dèi, appare con il corpo e il viso di donna, ma con le mani e i capelli mutati in fogliame e i piedi trasformati in radici. L'artista, noto anche come Andrea Schiavone, nacque nella città di Zara in Dalmazia e la sua famiglia era originaria di Meldola, paesino nei pressi di Forlì in Romagna. Alla fine degli anni Trenta del Cinquecento Schiavone è documentato a Venezia e le sue prime opere note si datano alla fine del quarto decennio, esibendo uno stile figurativo fortemente debitore del Parmigianino e dei manieristi italiani. I dipinti della maturità invece, esibiscono un uso innovativo del colore con strutture pittoriche sottili e complesse, che furono di grande ispirazione per Jacopo Bassano, Palma il Giovane, El Greco ed altri artisti. Ancora più importante appare il fatto che le sue creazioni anticipano soluzioni del periodo tardo di Tiziano, mostrando una conduzione rapida, abbreviata, che esemplifica paradigmaticamente quella tecnica cosiddetta 'di tocco' che fece scuola, ma anche scalpore, nel contesto lagunare della metà del secolo, meritando, sul finire del quinto decennio, giudizi inequivocabilmente critici da parte di commentatori del prestigio di Pietro Aretino e Paolo Pino, volti a stigmatizzarne l'eccesso di prestezza e sommarietà d'esecuzione, il difetto di diligenza e rifinitezza e il conseguente effetto di sfrangiamento della forma. La tavola in esame si può collocare alla maturità, in analogia con 'Le storie di Giacobbe' delle collezioni reali inglesi datate al sesto decennio. L'opera è corredata da una perizia di Rodolfo Pallucchini. Bibliografia di riferimento:Splendori del Rinascimento a Venezia. Schiavone tra Parmigianino Tintoretto e Tiziano, catalogo della mostra a cura di E. M. Dal Pozzolo e L. Puppi, Milano 2015, ad vocem

Lot 879

(Treviso, 1500 - Venezia, 1571)Caccia al cinghiale di CaledonioOlio su tavola, cm 31X110Provenienza:Roma, Galleria Bonatti (1948)New York, Galleria Wildenstein & C. (1952) Milano, Finarte, 16-25 marzo 1962, lotto 9Bibliografia:Archivio Zeri, n. 38912 (come Paris Bordone)B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Venetian School, 1957, vol. I, p. 49/vol. II, n. 1127 (come Paris Bordone)G. Canova, Paris Bordon, Venezia 1964, p. 133 (come attribuito a Paris Bordone)F. E. Dabel, Venetian Paintings from Titian to El Greco, New York, Piero Corsini Inc. 1991, pp. 36 - 41 (come Paris Bordone)A. Donati, Paris Bordon, Soncino 2014, pp. 349 ; 340, n. 140 (come Paris Bordone)Il dipinto non raffigura come erroneamente detto la Morte di Adone, ma descrive la caccia al cinghiale Caledonio, che secondo la mitologia greca era di straordinaria possanza e compare in diversi miti come antagonista di grandi eroi. Nato dalla scrofa di Crommio, Caledonio fu mandato da Ares per uccidere Adone quando costui si innamorò di Afrodite. L'artista evoca al meglio la favola pastorale ambientandola in un paesaggio di gusto tizianesco, in parte ancor memore di Palma il Vecchio, connotato da una vivace colorazione e fusione desunta da Giorgione. Infatti, quanto mai emulo dell'artista di Castelfranco è il sentimento cromatico, aspetto che non mancò di osservare il Vasari, ricordando che Paris si mise in animo di volerne per ogni modo seguitarne la maniera, 'e così datosi a lavorare ed a contraffare dell'opere di colui, si fece tale, che venne in bonissimo credito- onde nella sua età di diciotto anni' (Cfr. G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 461-466). Ed è su questo assunto che possiamo quindi collocare alla giovinezza la nostra composizione, prossima per analogie di stile 'all'Apollo e Dafne' conservato al Seminario Patriarcale di Venezia (cfr. Bonicatti 1964) e con 'la Diana cacciatrice e una ninfa' della Samuel H. Kress Foundation di New York. Ma se l'influenza giorgionesca in Vasari assume una valenza topica, è indiscutibile che in quegli anni il Bordon fu l'artista più vicino per sentimento e ricerca al Tiziano. A evidenziare ulteriormente l'importanza dell'opera è altresì la sua autorevole storia critica e collezionistica che sulla scia degli studi di Bernard Berenson, giunge alla Galleria Wildenstein di New York quando il celebre studioso è in procinto di passare il testimone di consulente del celebre antiquario a Federico Zeri. Bibliografia di riferimento:M. Bonicatti, Per la Formazione di Paris Bordon, in Bollettino d'Arte, 1964, IV, serie III, pp. 249 ; 251

Lot 880

Trompe l'oeil Olio su tela, cm 62,5X80 (6)Il tema dell'inganno ottico, o trompe-oeil, caratterizza la pratica del dipingere sin dall'età classica; si ricordano, ad esempio, la celeberrima gara di pittura tra Zeusi e Parrasio narrata nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Si può immaginare la suggestione che suscitò questo episodio nel corso dei secoli successivi e durante l'Umanesimo, basti pensare agli espedienti prospettici di Giotto agli Scrovegni, le finte scansie della Cappella Baroncelli di Taddeo Gaddi, per non parlare delle straordinarie tarsie di Baccio Pontelli nello studiolo di Federigo da Montefeltro. Durante l'età barocca quando la pittura di natura morta assume piena autonomia e apprezzamento, si sviluppa altresì il trompe-l'oeil da cavalletto, che si distingue sino ad assumere una vera e propria caratteristica illustrativa, in cui il virtuosismo tecnico si misura con il realismo e la mimesi degli oggetti più disparati. Di conseguenza, ecco l'esecuzione di angoli di studio, dipinti su mensole o applicati su tavole, carte geografiche e lettere, orologi e strumenti musicali, molteplici possono essere le combinazioni illustrative, mentre minoritario sembra il fine allegorico e morale rispetto alle nature morte o Vanitas. Nel nostro caso le opere recano una attribuzione collezionistica a Carlo Leopoldo Sferini (attivo a Verona tra il 1652 e il 1698), tuttavia il carattere settecentesco dei quadri riportati e la loro affinità con le tele di Rotari suggeriscono una datazione successiva e la mano di un seguace dello Sferini. Bibliografia di riferimento:A. Veca, Inganno e Realtà. Trompe-l'oeil in Europa XVI-XVIII secolo, Bergamo 1980, ad vocem G. Alberti, Inganni dipinti. Trompe-l'oeil nella fototeca Zeri, Ferrara 2015, p. 161

Lot 881

(Venezia, 1518 - 1594)O COLLABORATORE(Giovanni Galizzi da Santa Croce ?- Bergamo, 1500 - 1565)Venere e AdoneOlio su tela, cm 140X250Scorrendo la monumentale monografia dedicata a Jacopo Tintoretto scritta da Rodolfo Pallucchini e Paola Rossi non si riscontrano analoghe opere del maestro. Questo indizio suggerisce che la tela in esame non sia una copia. L'analisi del dipinto evidenzia senza indugi la genesi tintorettesca, tuttavia, negli esiti si percepisce una interpretazione della conduzione pittorica non pienamente all'altezza del pittore. L'analisi induce dunque a ricusare la sia pur ragionevole attribuzione collezionistica, tuttavia non esclude il suo intervento per ciò che concerne l'invenzione disegnativa. Si giunge così a ripensare alla complessità della bottega tintorettesca e alla fase giovanile dell'artista e a meditare sulla personalità ancor poco nota di Giovanni Galizzi da Santa Croce (Bergamo, attivo tra il 1543 e il 1565), noto quale suo collaboratore durante il quinto decennio ma anche collega nella vivace bottega di Bonifacio Veronese quando Jacopo muoveva i primi passi verso una propria autonomia. È quindi chiaro come in questi anni si svolgano i nodi del complesso fenomeno della Maniera lagunare, in cui le innovazioni del Veronese non solo mettono fine al gusto retrò dei Santacroce, ma interpretano e si fanno carico delle nuove istanze culturali instillate dal Parmigianino e dalle diaspore romane. Allora non stupisce la curiosa espressività del putto, che possiamo confrontare con il Gesù Bambino presente nella 'Sacra Famiglia con Santa Caterina e donatore' già Colnaghi pubblicata da Andrea Donati (A. Donati, Tintoretto, punto e a capo. Il problema del catalogo e un'aggiunta ipotetica a Giovanni Galizzi, in 'Studi Veneziani', LXXIII, 2016, p. 262, fig. 1). Così anche la peculiare tipologia della testa femminile il cui il disegno del mento infonde una riconoscibile espressione del volto.

Lot 882

(Urbino, 1528/1535 - 1612)Riposo nella fuga in EgittoOlio su tela, cm 79X65Il dipinto si ispira alla celebre composizione realizzata da Federico Barocci oggi custodita alla Pinacoteca Vaticana ma proveniente dalla Chiesa del Gesù a Perugia e ancor prima dalla collezione di Simonetto Anastagi. Una seconda redazione nota è quella della chiesa di Santo Stefano di Pioppico. Una terza versione ora dispersa è ricordata dal Bellori nel 1672 insieme a quella di Pioppico: 'per lo duca Guidobaldo padre di Francesco Maria colorì un quadretto da camera con la Vergine, che si riposa dal viaggio d'Egitto: siede e con la tazza prende l'acqua da un rivo che sorge, mentre san Giuseppe abbassa un ramo di pomi, porgendone a Gesù Bambino, che ride, e li stende la mano. Questo fu mandato in dono alla duchessa di Ferrara; perché l'inventione piacque, ne replicò alcuna altra, et una ne dipinse a guazzo grande al naturale, che dal conte Antonio Brancaleoni fu mandata alla Pieve del Piobbico suo castello'. La fortuna illustrativa della composizione è anche documentata dall'incisione di Cornelis Cort (1575), oggi conservata al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.

Lot 883

Madonna con bambino Olio su tela, cm 62X47Il dipinto reca una tradizionale attribuzione a Bernardino Lanino (Mortara, 1512- Vercelli, 1583). Le possibili analogie con la produzione dell'artista piemontese si colgono osservando le tipologie dei volti, che rispondono a quelli inerenti alla sua produzione matura, come si nota ad esempio nell'Annunciazione del Museo Borgogna a Vercelli databile al 1580. Tuttavia, la posa della Vergine e del Bimbo si riscontra già nella tavola raffigurante la 'Madonna in trono col Bambino, Sant'Agostino che presenta un donatore e San Biagio', la cui esecuzione non travalica il 1573. Occorre altresì dire che l'opera suggerisce una datazione al XVII Secolo indicando l'esecuzione da parte di un seguace. Bibliografia di riferimento:G. Romano, Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, ad vocem

Lot 884

(Venezia, 1701 - 1785)Ritratto di uomo con caneOlio su tela, cm 51X36BibliografiaE. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1981, p. 545, fig. 798A. Daninos, Pietro Longhi, 24 dipinti da collezioni private, catalogo della mostra, Milano, 1993, n. 13Pietro Longhi fu registrato nel libro dei battesimi della parrocchia di Santa Margherita con il cognome del padre, Piero Falca, di professione argentiere (Moretti, p. 249). Il nome Longhi, di cui si ignora l'origine, è attestato solo a partire dai documenti riguardanti le sue vicende artistiche. Le fonti indicano un primo apprendistato con Antonio Balestra, e fu lo stesso maestro a raccomandarlo a Giuseppe Maria Crespi a Bologna. Tuttavia, poco sappiamo di questo periodo ed è altresì difficile quantificare il tempo di permanenza bolognese, che fu indubbiamente importante per la sua formazione. Volendo dare un giudizio spassionato sulla produzione dell'artista, diremo che il suo merito principale consiste nell'aver introdotto a Venezia il quadro di genere applicando gli insegnamenti del suo maestro Giuseppe Crespi alla società veneziana del Settecento, che egli, senza pretendere agli intendimenti morali di Hogarth e senza possedere la grazia delicata, né il sentimentalismo, né l'acutezza psicologica dei pittori francesi contemporanei, riprodusse fedelmente con amabile realismo e con inimitabile colore locale in mille gustose scenette colte dal vero. In sede di cultura però, andranno certamente ricercate ancora, e pesate meglio, le sue ascendenze non soltanto nel bolognese Crespi, ma soprattutto nella pittura borghese e popolare bresciana e bergamasca, che sulla fine del Sei e sul principio del Settecento, era, col Ghislandi e col Ceruti, la pittura più seria e più sincera di tutta la repubblica veneta. Ma il Longhi prende un passo europeo e si misura con la scala del Watteau e dello Chardin (R. Longhi 1946). Tali descrizioni critiche esplicano al meglio il tenore culturale della tela in esame, che trova nella sua immediata semplicità illustrativa, quasi da scatto fotografico, il senso e l'importanza del pittore come fu riconosciuto da Roberto Longhi. Bibliografia di riferimento:A. Ravà, Pietro Longhi, Firenze 1923R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946; Milano 2017, p. 57T. Pignatti, Pietro Longhi, Venezia 1968, ad vocem

Lot 892

(Milano, 1700/1710 - Torino, 1775)Veduta portuale con vascelliOlio su tela, cm 76X103Il gran numero di opere presentate sul mercato con errate attribuzioni a Francesco Antoniani, ha inquinato non solo il catalogo del pittore, ma anche la sua valenza collezionistica e commerciale. Noto per la produzione di vedute e paesaggi, Antoniani fu il principale esponente di una dinastia attiva a Torino durante il XVIII e la sua produzione fu soprattutto destinata a Casa Savoia per arredare con paesaggi, capricci architettonici e marine le residenze reali. È quindi inevitabile dover prendere atto di questa committenza per giudicare le sue opere, che, come in questo caso, esibiscono una tecnica pittorica di notevole raffinatezza, caratterizzata da larghe campiture di colore condotte con vivacità di pennello ed un peculiare gioco di luci e sfumature. Anche il tema raffigurato è a lui peculiare, ossia la descrizione di vedute ideali di costa mediterranea con figure, rovine architettoniche e navi alla fonda, guardando agli esempi di Joseph Vernet, Carlo Bonavia, Adrian Manglard e Lacroix de Marseille. La letteratura artistica e le fonti ricordano il nostro attivo a Stupinigi, Moncalieri e presso il Palazzo Reale, dove dipinge sovrapporte e decori, contaminandosi altresì con i precetti dell'altro importante paesista li attivo, Vittorio Amedeo Cignaroli.Bibliografia di riferimento:Vittorio Amedeo Cignaroli. Un paesaggista alla corte dei Savoia e la sua epoca, catalogo della mostra a cura di A. Cottino, Torino 2001, p. 145

Lot 893

(Santa Croce, 1490 circa - Venezia, 1556)Madonna col Bambino, San Giovannino e donatoreOlio su tavola, cm 37X45Il dipinto, databile intorno alla prima metà del XVI secolo e dagli evidenti caratteri di stile lagunari, si attribuisce a Girolamo da Santa Croce, che di origine bergamasca svolse il suo apprendistato nella bottega di Gentile e Giovanni Bellini. Le sue 'Sacre conversazioni' ambientate all'aperto e con fondali paesistici sono desunte dal celebre maestro e Girolamo si dedicò ampiamente a diffonderne la tipologia illustrativa, senza tuttavia escludere stilemi desunti da Cima da Conegliano e Palma il Vecchio. È comunque indubbio che durante la maturità, questo genere di opere furono prodotte con la collaborazione del figlio Francesco, ma di cui è difficile rintracciarne con certezza una distinzione filologica. Questa pratica di bottega era certamente comune, tuttavia ,l'evidente arcaismo suggerisce l'esistenza di una committenza ancora legata a tradizioni illustrative belliniane.Bibliografia di riferimento:M. Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, I, Milano 1996, pp. 20, 81, 87, 127, 135A. Tempestini, La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, III, Milano 1999, p. 950

Lot 895

Sansone distrugge il tempio dei FilisteiOlio su alabastro, cm 31,5X42Il dipinto reca un'attribuzione alla scuola fiorentina ed è considerato quale studio preparatorio per un commesso marmoreo, ossia quel particolare tipo di mosaico chiamato 'opus sectile' di origine romana nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel modo voluto.

Lot 896

(Roma, 1639 - 1715) Laboratorio dell'alchimistaOlio su tela, cm 50X74La vicenda critica del pittore inizia nel 1964, quando alla mostra dedicata a Cristoforo Munari si esposero dodici nature morte monogrammate G.D.V. L'anonimo artista fu poi riconosciuto da Marco Chiarini nel 1974, quando pubblicò un interno di cucina dai medesimi caratteri di stile firmato Gio. Domen... Valent...no Imola 1681. Da quel momento fu chiaro che le innumerevoli tele realizzate nel territorio imolese e raffiguranti prevalentemente interni di cucina con la profusione di stoviglie, cibi e bacili in rame erano tutte da ricondurre al maestro. Successivamente, la firma per esteso posta su un telaio di un dipinto custodito nella chiesa di San Petronio a Castelbolognese raffigurante Sant'Elena che regge la croce, recava altresì la nascita romana dell'autore e la data 1661. Con gli studi successivi del Salerno (1984), Colombi Ferretti (1989), dei Bocchi e dell'Asioli Martini editi nel 2005, possiamo affermare che la conoscenza sul pittore sia oramai consolidata, mentre nel 1989 la Roio rese nota una tela firmata per esteso e datata Roma 1698, suggerendo di conseguenza che il Valentini a questa data non era più attivo in Romagna. Bibliografia di riferimento:A. Colombi Ferretti, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, F. Zeri, Milano 1989, vol. II, p. 474, nn. 565-568G. Bocchi, U. Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 507-523G. Asioli Martini, Giovanni Domenico Valentini alias G.D.V. pittore di interni e di nature morte, Imola 2005, ad vocem

Lot 897

(Roma, 1639 - 1715) Interno di cucinaOlio su tela, cm 98X133Gian Domenico Valentini era originario di Roma ma lavorò prevalentemente in Romagna, per la precisione a Imola e Ravenna, tanto da esser definito dalla critica un 'maestro emiliano influenzato dai modi di Cristoforo Munari' (Ghidiglia-Quintavalle, 1964- Chiarini, 1974). Dipinse principalmente interni di cucina elaborando complesse composizioni di natura morta raffiguranti utensili in rame, terrecotte, verdure e selvaggina. In lui si colgono le influenze della pittura olandese ed una conseguente passione per creare spazi scenici tenebrosi, dove si muovono indaffarate figure femminili che svolgono umili attività domestiche. Anche nella nostra tela il soggetto non si discosta dalla consuetudine e presenta stilemi tipici dell'artista, in modo particolare osservando i brani di natura morta tratteggiati con intenso realismo. In effetti, l'idea del Valentini quale interprete di un caravaggismo a passo ridotto, sia pur seducente, non aiuta a cogliere la sua affiliazione con i bamboccianti, evidenziando una formazione simbiotica con quegli artisti nordici che popolavano la Città Eterna, per poi abbracciare un gusto tipicamente romagnolo e realizzare le sue nature morte e giungendo, così, a risultati personalissimi.Bibliografia di riferimento:A. Colombi Ferretti, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, F. Zeri, Milano 1989, vol. II, p. 474, nn. 565-568G. Bocchi, U. Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 507-523G. Asioli Martini, Giovanni Domenico Valentini alias G.D.V. pittore di interni e di nature morte, Imola 2005, ad vocem

Lot 899

(Orzivecchi, 1518/1520 - 1588/1596)Cinque sante Olio su tela, cm 72X96Il dipinto reca un'attribuzione collezionistica a Luca Mombello, artista che sappiamo intagliatore di cornici durante la prima giovinezza, ma che nel 1553 è documentato quale allievo di Alessandro Bonvincino detto il Moretto. Secondo il Fappani, il pittore era inizialmente dedito a produrre piccole opere devozionali arricchite da eleganti cornici Sansovino, tuttavia, siamo ben distanti da poter elencare un corpus di opere, vista una evidente discontinuità e una produzione soventemente incerta tra i modi bresciani e un elegante gusto lagunare (cfr. P. A. Orlandi. Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 351). Bibliografia di riferimento:L. Anelli, Moretteschi bresciani del secondo Cinquecento e del Seicento: da Luca Mombello a Tommaso Bona, in Civiltà bresciana, I, 1992, pp. 23-47A. Fappani, Enciclopedia bresciana, IX, Brescia 1992, pp. 208 s.

Lot 901

(Vilminore, 1714 - Bergamo, 1775)Episodio dei viaggi di GulliverOlio su tela, cm 55,5X72Il tema raffigurato è tipico della produzione di Faustino Bocchi, qui interpretato da Enrico Albricci (Vilminore, 1714 - Bergamo, 1775). Si deve altresì notare che non si conoscono simili composizioni concepite dal Bocchi, attestando l'originalità inventiva della scena. Dal punto di vista illustrativo è importante ricordare la diffusione dei Viaggi di Gulliver, libro scritto da Jonathan Swift in forma anonima nel 1726 e in versione definitiva nel 1735, che ispirò indubbiamente Albricci, a cui non sono estranee le polemiche civili dell'Illuminismo lombardo. Polemiche che troveranno ancora voce in pieno '800 con La Satira contro il villano di Domenico Merlini (1894). Nondimeno, Albricci nelle sue squisite regole della versificazione compendia brillantemente le due poetiche, quella favolistica accentata da un'attenta descrizione naturalistica e quella metaforica, componendo una raffinata commistione tra divertissement, cultura letteraria e istanze sociali.

Lot 902

(Pomarance, 1553 circa - Roma, 1626) Madonna con il Bambino e angeliOlio su rame, cm 48,5X65Databile ai primi anni del XVII secolo, il dipinto presenta caratteristiche peculiari della tarda maniera centro italiana e in modo particolare di quegli artisti attivi nella Città Eterna ma formatisi o influenzati dall'arte toscana. Pertinente in questo caso è il confronto con le opere di Giuseppe Valeriano (L'Aquila, 1526 - Napoli, 1596) e, in modo particolare, di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (Pomarance, 1552 circa - Roma, 1626). Il Roncalli, giunto a Roma nel 1582, realizzò la sua prima opera di rilievo per l'oratorio del Santissimo Crocifisso nella Chiesa di San Marcello al Corso, che assieme al ciclo raffigurante la Passione di Cristo e la Vita di San Paolo, rispettivamente nelle cappelle Mattei e Della Valle di Santa Maria in Aracoeli (1585 - 1590), esprimono ancora un linguaggio intriso di stilemi cinquecenteschi, suggestioni dettate dal Cavalier D'Arpino e da quegli artisti impiegati da Sisto Quinto.Bibliografia di riferimento:I. Chiappini di Sorio, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, il Seicento I, Bergamo, 1983, nn. 128/60, 121/49

Lot 903

(Verona, 1706 - 1770) Studio di SantoOlio su tela, cm 60X41La tela mostra una luminosità delicata, cromaticamente ricca e una notevole forza espressiva, avvalorata da un tessuto pittorico costituito da una morbida pastosità, caratterizzata da rifrazione smaltate, traslucide, realizzate da sottili velature che giocano con le zone d'ombra a risparmio e sapienti contrasti cromatici. La libertà pienamente settecentesca è altresì moderata da un classicismo elegante, questi indizi fanno convergere la datazione dell'opera alla maturità dell'artista, dopo il soggiorno veneziano avvenuto tra il 1735 e il 1738 e più precisamente attorno al sesto decennio, quando la sua tavolozza assume tonalità che attenuano le reminescenze chiaroscurali per abbracciare un chiarismo settecentesco e in certi casi neoveronesiano.

Lot 906

Testa di carattereOlio su tela, cm 47X37Stilisticamente affine ai modi di Giuseppe Nogari, la tela in esame esprime la peculiarità della ritrattistica di carattere in area veneta, sull'esempio di Piazzetta, di Giovanni Battista Tiepolo e in modo particolare l'influenza dei modelli olandesi, soprattutto Rembrandtiani, che caratterizzarono anche alcune opere del Maggiotto. Ad assecondare questa attitudine fu, secondo Guarienti, il marchese milanese Ottavio Casnedi. Costui 'intendentissimo dell'arte, ed avendo osservato nel Nogari un certo spirito e grazia nel far le mezze figure, gli diede commissione di farne parecchie, intorno a cadauna delle quali avendogli detto il suo giudizio, e datogli utili avvertimenti, di questi tanto egli si approfittò, che in poco tempo colla sua nuova singolare maniera ad un distinto grado di reputazione salì' (Orlandi; Guarienti, 1753).Bibliografia di riferimento:P.A. Orlandi ; P. Guarienti, 'Abecedario pittorico accresciuto da Pietro Guarienti', Venezia 1753, p. 235R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 570-578Teste di fantasia del Settecento veneziano, catalogo della mostra a cura di R. Mangili e G. Pavanello, Venezia 2006, p. 118

Lot 908

(Torino, 1798 - 1866)Il fantasma di Argalia con l'elmo appare a Ferraù nel fiumeFirmato e datato 1841 in basso a sinistra Un'etichetta al retro: ricevuto lì 9 aprile 1841 in GenovaOlio su tela, cm 29,5X37Bibliografia:Massimo D'Azeglio e l'invenzione del paesaggio istoriato, catalogo della mostra a cura di, Torino 2002, fig. 63L'opera qui illustrata è il bozzetto per la tela custodita ai Musei Civici di Arte e Storia di Santa Giulia a Brescia (olio su tela, cm 120X167) ed è tipica dell'artista piemontese, con la caratteristica qualità d'esecuzione. Il taglio con cui è stata concepita l'immagine e le tonalità cromatiche con cui è delineato sono misurati e la figura vi si inserisce con armonia. Particolarmente tipiche della pittura azegliana sono le fronde degli alberi rese con pennellate veloci e sapienti, che animano la veduta di sapore romantico in chiave di paesaggio istoriato, ispirato dai viaggi alpini dell'artista che contribuirono alla definizione dei paesaggi fantastici riproposti nei dipinti. L'opera può essere avvicinata all'acquerello Paesaggio ariostesco pubblicato da Mazzocca, derivato dal noto poema del letterato ferrarese e nel caso specifico si descrive l'episodio di Ferraù sulle sponde di un lago che osserva lo spettro di Argalia il quale, emerso dalle acque, gli porge l'elmo cadutogli nel fiume (ottave 24, 25 e 26 del Canto I). L'opera finale custodita a Brescia fu eseguita su commissione del Conte Paolo Tosio Martinengo ed esposta alla mostra di Brera del 1834.

Lot 909

(Beverwijk, 1616 - Haarlem, 1677)Veduta costiera con figure (Veduta di Nisida e Capo Miseno)Olio su tavola di quercia d'olanda, cm 33X49Registrato nel 1642 alla gilda dei pittori di Haarlem, Thomas Wijk si recò in Italia presumibilmente nel 1640, l'anno in cui un Tommaso fiammingo pittore è documentato come residente a Roma in Via della Fontanella. E' difficile stabilire quali sono i dipinti realizzati nella Città Eterna perché continuò a realizzare vedute e paesaggi dell'Urbe certamente impiegando disegni e fantasia a seconda delle necessità compositive. Comunque possiamo supporre che le opere che mostrano un maggior senso di immediatezza e realismo siano da collocare al suo soggiorno nella penisola. Opere risalenti al 1640 includono la Veduta dell'Aracoeli (Monaco, Alte Pinakothek), la Piazza del mercato di Portico d'Ottavia (collezione privata) e la Veduta di Napoli con il Vesuvio in eruzione (cfr. All'ombra del Vesuvio, Catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 1990, pag. 285), e la Veduta di porto di combaciante gusto rappresentativo pubblicata nel Catalogo della mostra Nederlandse 17e Eeuwse - ltalianiserende Landschapschilders, Utrecht 1965, fig. 'IS, n. 71, pp. 144-46). Queste opere tradiscono l'influenza di Andries Both, di Pieter van Laer, di Jan Miel e in particolare evidenziano la loro similitudine con le vedute di Asselijn e del Lingelbach, come ben si osserva gurdando le opere pubblicate da Busiri Vici (cfr. Porti, piazze e casolari di Roma e dintomi di Tommaso Fiammingo, in Scritti d'Arte, Roma 1990, pp. 402-410). Tornando alla tavola in esame è quindi verosimile collocarla al momento italiano o poco dopo e, come indica il Sestieri, l'immagine evoca una libera rappresentazione della costa napoletana con Nisida e Capo Miseno (cfr. G. Briganti, Gaspar van Wittel, Milano 1996, fig. 396, pp. 275-77).L'opera è corredata da una scheda critica di Giancarlo Sestieri.

Lot 911

(Delft, 1596 - 1674)Interno di taverna con figureolio su lavagna, cm 25X37Il dipinto riflette una cifra stilistica d'ascendenza nordica, ispirata da Adam Elsheimer e dai primi caravaggeschi. Le figure, grazie alla peculiarità del supporto e alle vibranti pennellate, spiccano sulla superficie, secondo una tecnica esecutiva che riconosciamo nelle opere di Leonard Bramer, artista di Delft giunto in Italia poco dopo il 1616 e documentato a Roma dal 1618 al 1629. Nella città capitolina il pittore dipinse per il principe Mario Farnese, per il cardinale Scaglia e la famiglia Giustiniani. Di particolare importanza per la formazione italiana di Bramer, sono le opere degli innumerevoli artisti nordici ivi presenti, creatori di affascinanti visioni notturne. Lo stile di Bramer ricorda inoltre le composizioni di Francois de Nomè, un artista il cui gusto pittorico trova origine nel cosmopolita ambiente romano, dove si eseguono in anni precoci le prime tele a carattere esoterico e magico, che con Filippo Napoletano e Salvator Rosa troveranno un consenso notevole da parte dei collezionisti e amatori d'arte. A pieno sostegno della paternità del dipinto al Bramer, contribuiscono i confronti con le sue opere certe, conservate presso la Galleria Pallavicini e nella collezione Meluzzi di Roma, rese note da Luigi Salerno e quelle appartenenti alle collezioni fiorentine pubblicate da Marco Chiarini. Segnaliamo, inoltre, una lavagna raffigurante 'Gesù cade sotto la croce' nelle civiche raccolte del Castello Sforzesco.Bibliografia di riferimento:L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1977-1978, I, 48.2, 48.5, pp. 274 ; 279M. Chiarini, Gallerie e Musei di Firenze. I dipinti olandesi del Seicento e del Settecento, Roma 1989, ad vocemJ. Ten Brink Goldsmith, P. Huys Janssen, Leonard Bramer 1596 ; 1674: ingenius Painter and Draughtsman in Rome and Delft, catalogo della mostra, Delft 1994, ad vocem

Lot 912

(Milano 1657 - 1700)Natura morta con fiori, frutta e asparagiOlio su tela, cm 63,5X91,5Pensando all'attribuzione di questa affascinante natura morta, sovviene da parafrasare il titolo di un interessante studio di Ulisse e Gianluca Bocchi dedicato alle problematiche vincenziniane, che tentava il riordino filologico delle opere attribuite a Giuseppe Volò (1662-1700), Margherita Caffi (1647 circa - 1710), Vincenzo Volò (1606-1671) e Francesca Volò Smiller detta Vicenzina (1657-1700). La stesura veloce e la modalità con cui è concepita la tela in esame circoscrivono l'ambito, ma in questo caso la definizione dell'immagine e la tipologia della pennellata rispondono con maggiore attinenza al fare pittorico di Francesca. La costruzione dei petali è costituita si con un tocco veloce, ma non franto; il controllo formale è più attento e verificabile per confronto con le diverse immagini pubblicate dagli studiosi. Il contrasto tra il cromatico e luminoso dei petali dimostra una qualità esecutiva e un controllo formale da fiorante di razza. L'abilità trasposta nella mimesi ottenuta con molteplici velature trasparenti, la generosità della tavolozza, la misura adottata per la sapiente disposizione dei tralci fioriti, nonché la materia grassa, caramellosa, caratterizzata da una vivida luce che consente straordinari effetti mimetici, par degna della migliore tradizione naturalistica fiamminga, raggiungendo un esito di notevole eleganza e impatto decorativo di gusti pre-rocaille.Bibliografia di riferimento:G. e U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore 1998, pp. 104 e 106A. Cottino, I fiori di Francesca, Legnano 2007, ad vocem

Lot 913

(Mantova? ; notizie a Venezia dal 1636 al 1644 e dal 1660 al 1663)Vaso dorato con fiori recisiOlio su tela incollata su tavola, cm 60X47Attivo a Venezia dove è documentata la sua iscrizione alla Fraglia dei pittori tra 1636 e 1639 quale fiorante e creatore di nature morte, le notizie biografiche sul Mantovano sono tuttora carenti (cfr. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano, 1981, I, p. 329), ma le opere note permettono interessanti confronti con la tela in esame. Un utile parametro è il Vaso con fiori bianchi e rossi dell'Accademia dei Concordi a Rovigo, dove i petali di grandi proporzioni e colori vivacemente alternati abbinati a gamme, che variano dal bianco brillante al vermiglio, rivelano un'attenzione formale per l'arte fiamminga ed una cronologia alla fase più arcaica. Sarà il soggiorno romano ad imprimere sull'artista il mutamento in senso barocco della sua arte, grazie alla lezione di Mario Nuzzi, che lo influenzerà all'uso di eleganti vasi istoriati con figure e sormontati da scenografici bouquet. Tornando all'opera in esame, si presume che la sua datazione sia da collocare alla produzione matura, per l'uso del vaso istoriato al posto di quello a grottesche sintomo di un mutamento di gusto oramai in atto e quindi attorno alla metà del secolo. L'opera è corredata da una perizia scritta di Mario Bonzi che riferisce il dipinto a Mario Nuzzi detto Mario dei Fiori.Bibliografia di riferimento:E. A. Safarik, F. Bottari, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio e F. Zeri, Milano 1989, vol. I, pp. 326-328G. Bocchi. U. Bocchi, Francesco Mantovano, in Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana fra XVII e XVIII secolo, Calenzano (Firenze) 1998, pp. 392-410G. Bocchi, U. Bocchi, Francesco Mantovano o Mantovani, in Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana (Mantova) 2005, pp. 203-243

Lot 915

(Bologna, notizie dal 1663 al 1610)Cristo nell'ortoTempera su tavola a fondo oro, cm 29,5X27Si deve a Mina Gregori l'assegnazione a un artista di scuola bolognese di questa tavola, che secondo la studiosa presenta strettissime affinità con la produzione di Cristoforo di Jacopo. Non conosciamo la città di nascita dell'artista, variamente indicata sin dal Vasari in Bologna, Ferrara e Modena, mentre le analogie con Simone dei Crocefissi (documentato a Bologna tra il 1355 e il 1399) suggeriscono la sua formazione bolognese, analogie che durante la maturità si diluiscono mostrando nette suggestioni fiorentine e di Vitale da Bologna. Secondo Roberto Longhi il pittore iniziò verosimilmente la sua carriera a Mezzaratta realizzando tra il 1350 e il 1360 alcune delle Storie di San Giuseppe, mostrando uno stile prossimo a quello di Simone dei Crocifissi. Tra il 1360 e il 1375 lo sappiamo invece dedito a dipingere le Storie di Santa Maria Egiziaca in San Giacomo Maggiore a Bologna, da considerarsi una delle migliori creazioni del pittore insieme alle tavole con le storie di Cristo del Museo Civico di Pesaro. È appunto in quest'ultime opere in cui i brani di paesaggio e in modo particolare gli alberi vedono alcune differenze con quelli presenti nella tavola in esame, differenze che giustamente hanno suggerito una dovuta prudenza attributiva, che trova invece mediazione osservando i brani di figura, nitidi e quasi neogiotteschi. L'opera è corredata da una perizia di Mina Gregori.Bibliografia di riferimento:R. Longhi, La mostra del Trecento bolognese, Paragone 1, 1950, 5, pp. 5-44 F. Arcangeli, Pittura bolognese del '300 in San Giacomo Maggiore, in Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, pp. 101-11

Lot 916

(Messina 1668 - Livorno 1723)Natura morta all'aperto con fruttaOlio su tela, cm 70X95Pittore nato a Messina nel 1668 da genitori fiamminghi, poi trasferitosi intorno al 1674 a Livorno, Houbraken fu attivo per la committenza medicea. L'opera in esame presenta analogie con il gruppo di tele facenti parte delle collezioni granducali e in particolare con la tela custodita presso la Pinacoteca di Montepulciano (cfr. L. Della Monica, La natura morta a Palazzo e in villa, catalogo della mostra a cura di M. Chiarini, Firenze 1998, pp. 118-121). Tipico del pittore è il modo in cui descrive le foglie e la delicatezza cromatica con cui dipinge i frutti, indicando verosimilmente una datazione matura, quando le suggestioni dettate Giovanni Stanchi si attenuano e declinano in eleganti sensibilità rocaille. Bibliografia di riferimento:M. Gori Sassoli, Per il catalogo di Nicola van Houbraken, in Paragone 65 ; 66, 2006, pp. 78 ; 99

Lot 917

(Anversa, 1637 - Venezia, 1712)Natura morta con pesci e verduraOlio su tela ovale, cm 54X75Allievo di Jan Fyt ad Anversa, celebre pittore di nature morte e maestro di David de Koninck e Pieter Boel, Jacob Van De Kerckhoven si trasferì a Venezia prima del 1663, dove il suo cognome fu italianizzato in Giacomo da Castello. Nella città lagunare l'artista fu un punto di riferimento per il genere della natura morta e nella sua bottega si formò Giovanni Agostino Cassana. Le sue composizioni sono caratterizzate da un'inquadratura ravvicinata secondo un'ottica squisitamente nordica, atta a consentire la migliore lettura dei dettagli e una generosa impressione descrittiva e tattile. Forte della lezione fiamminga, Kerckhoven riscosse un notevole successo e gli inventari sei-settecenteschi delle collezioni veneziane citano moltissimi suoi dipinti. A documentare questo apprezzamento critico sono anche le collaborazioni con importanti pittori di figura, come si evince nella tela di Guido Cagnacci raffigurante una donna con due cani della collezione Borromeo (cfr. D. Benati, in Guido Cagnacci, catalogo della mostra a cura di D. Benati e M. Bona Castellotti, Milano 1993, pp. 152-155 n. 36).Bibliografia di riferimento:E. Safarik, La natura morta nel Veneto, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio e F. Zeri, I, Milano 1989, I, fig. 422F. Palliaga, in Fasto e rigore. La natura morta nell'Italia Settentrionale dal XVI al XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di G. Godi, pp. 242-246, nn. 98 ; 101

Lot 918

(Napoli 1680 - 1731) Natura morta con frutta e fioriSiglato NC sul vasoOlio su tela, cm 68X100Casissa fu un raffinato emulo di Gaspare Lopez, Francesco Lavagna e del suo maestro Andrea Belvedere. Il De Dominici ne ricorda la longevità e la fama dettata dalle sue suntuose nature morte. Il suo stile ridondante e di gusto rocaille si esprime al meglio soprattutto nella realizzazione di eleganti vasi fioriti, concepiti tramite una stesura libera e sciolta, che in parte tralascia la veridicità botanica prediligendo gli aspetti estetici e pittorici, ricchi di gradazione cromatiche intrise di una luminosità atta a valorizzare al meglio i valori tonali. Nel nostro caso, vediamo come l'artista sembra dialogare sapientemente con gli esempi migliori della natura in posa seicentesca di Luca Forte, dei Ruoppolo, di Giuseppe Recco e Brueghel interpretandone il valore neobarocco che contraddistingue la precocità dell'artista, qui quanto mai negli esiti singolare. A confronto possiamo analizzare la tela di collezione Gargiulo pubblicata da Roberto Middione, in cui possiamo osservare la medesima individuazione oggettuale quasi alla Ruoppolo Senior in cui il nostro già esprime il suo decorativismo atmosferico in analogia con la sensibilità del Belvedere e la fantasia di stesura giordanesca. L'opera è corredata da una scheda critica di Giancarlo Sestieri.Bibliografia di riferimento:N. Spinosa, Pittura Napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, p. 69R. Middione, in Barocco da Caravaggio a Vanvitelli, catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2009, p. 432

Lot 919

(Brescia, 1659 - 1741) Nani e caramogi che preparano dolciOlio su tela, cm 64,5X91,5Pittore di nature morte, paesaggi e animali, Faustino Bocchi fu celebre per i quadri di genere e le tele raffiguranti nani interpreti di banchetti, feste, combattimenti fantasiosi e attività d'ogni sorta. Lo stile dell'artista è certamente ispirato alla scuola olandese ma il suo fine non è realistico, bensì umoristico. Tratti di similitudine vi sono anche con Arcimboldi e Bosch, specialmente nei toni grotteschi di alcune sue opere, mentre tutta italiana e lombarda è la sensibilità narrativa, desunta dalla letteratura bernesca e l'intento satirico delle debolezze umane e delle vanità. Possiamo asserire che l'artista, celebrato in vita e apprezzato durante tutto il XIX secolo, fu poi riscoperto grazie alla mostra del 1922 in cui al pittore fu dedicato uno spazio affatto secondario (N. Tarchiani, Mostra della Pittura Italiana del Sei e Settecento in Palazzo Pitti 1922, Roma 1922, p. 39) e comportò negli anni successivi da parte del Baroncelli al distinguo con l'Albricci (cfr. A. Baroncelli, Faustino Bocchi ed Enrico Albricci pittori di bambocciate, Brescia 1965). Bibliografia di riferimento:M. Olivari, Faustino Bocchi e l'arte di figurar pigmei, Roma ; Milano 1990, ad vocem

Lot 920

(Roma, 1750-1799) Madonna con BambinoOlio su tela, cm 72X57Provenienza:Londra, Bonhams, 5 luglio 2006, lotto 62 (come Pietro Fancelli)Di probabili origini francesi, Giuseppe Cades fu un artista precoce e di talento. Formatosi con Domenico Corvi e all'Accademia di San Luca, mostrò da subito una sensibilità innovativa, mediando tra la cultura barocca e classicista ed esprimendo una rara felicità cromatica e disegnativa. Questi aspetti ben si colgono osservando la piccola tela in esame, quanto mai preziosa nei suoi esiti e che esibisce una felicità pittorica di altissima qualità. I modelli a cui sembra far riferimento il pittore sono la pittura veneta rinascimentale, da cui apprese il gusto del colore, i modelli nordici e specialmente francesi, sorprendendoci altresì per la sua consapevole autonomia rispetto ai colleghi più in voga, come Pompeo Batoni o Anton Raphael Mengs.Bibliografia di riferimento:M. T. Caracciolo, Giuseppe Cades 1750-1799 et la Rome de son temps, Parigi 1990, ad vocem

Lot 921

(attivo a Roma tra il 1685 e il 1714)Natura morta all'aperto con frutta e cristalliOlio su tela, cm 55X67Navarra è l'unico tra gli allievi di Franz Werner von Tamm ricordato da Lione Pascoli nel 1736 e giudicato tra coloro che più di ogni altro han fatto onore al maestro (L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, Roma 1736, p. 378). La vicenda critica dell'artista inizia con la mostra sulla natura morta del 1964 e l'identificazione del cosiddetto Monogrammista P. N., riconosciuto nella personalità di Pietro Navarra da Lamberto Golfari nel 1981 (cfr. L. Golfari, in Paragone, 375, 1981, pp. 52-56). Di notevole importanza fu poi lo studio condotto da Ludovica Trezzani pubblicato nei poderosi volumi curati da Francesco Porzio e Federico Zeri nel 1989 dedicati alla natura morta in Italia (Milano 1989, I, fig. 984). Tuttavia, la vera e propria definizione stilistica del pittore si deve alle recenti ricerche di Ulisse e Gianluca Bocchi che hanno altresì disegnato i riferimenti formali entro i quali si articola la produzione dell'artista nell'ambito delle influenze desunte da Tamm, Berentz e Giovanni Paolo Spadino (U. e G. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 661-696). Grazie all'articolato corpus costruito dai due studiosi è possibile esprimere confronti tra la tela in esame e la produzione certa del Navarra costituita da opere in cui si coglie la peculiare stesura del pittore, pastosa e materica, che si coagula quando è necessario rendere vibrante la superficie delle diverse tipologie di frutti e animali, in cui i giochi d'ombra sono evidenziati da punti di biacca luminosi e accesi.

Lot 922

(Rocchette, 1636 - Roma, 1710) Madonna con il BambinoOlio su tela, cm 73X61Dopo i primi studi condotti dal Verani nel 1961, la personalità di Girolamo Troppa fu delineata da Stella Rudolph nel 1977 e nel 1980 fu Busiri Vici a dedicargli un saggio di notevole valenza critica, rivelandosi quale attento collezionista del pittore. Girolamo Troppa pur essendo una delle personalità più interessanti della pittura romana tardo seicentesca, fatica inspiegabilmente a essere riconosciuto quale protagonista, in virtù della tempra tenebrosa e naturalistica, sostanzialmente in antitesi alla pittura barocca in auge. Infatti, trovando sintonie espressive con le creazioni di Mattia Preti, Pier Francesco Mola e Giacinto Brandi, Troppa fu in grado di creare un elegante e colto dialogo con il classicismo incipiente, rievocando con modernità modelli carracceschi senza tralasciare le novità introdotte dal Ghezzi, il Giminiani e Giovanni Battista Gaulli con il quale collaborò al Collegio Romano, affermando una consapevole e voluta autonomia stilistica e culturale. A dimostrazione di questa tesi si pone allora con misurata precisione la tela qui presentata, che documenta l'elegante sintesi delle tendenze pittoriche collocandosi con autorevolezza tra il lanfranchismo chiaroscurale di Giacinto Brandi e la sapienza marattesca attraverso una sprezzatura naturalistica. Si osservi a questo proposito la vivacità espressiva del Bimbo e gli eleganti spartiti cromatici delle vesti dal blu intenso e il vermiglio che agevolano i chiari che spiccano sul fondale scuro. Bibliografia di riferimento:A. Busiri Vici, Un dimenticato pittore del tardo Seicento Gerolamo Troppa, in Scritti d'Arte, Roma 1990, pp. 430-440, fig. 4E. Schleier, Aggiunte a Girolamo Troppa pittore e disegnatore, in Antichità Viva, XXXII, 5, 1993, pp. 16-23E. Schleier, Girolamo Troppa, in Altomani 2004, pp. 167-177, n. 16, con bibliografia precedente

Lot 923

(Mauerkirchen, 1679 - Roma, 1748)San Giovanni NepomucenoOlio su tela, cm 63X47L'analisi stilistica del dipinto, per la cui inventiva l'autore si avvalse di precedenti simili iconografie, riflette una sostanziale adesione al classicismo di Carlo Maratti, a cui Ignazio Stern guardò con certa ammirazione. L'artista svolse gran parte della sua carriera a Roma, dapprima dal 1702 al 1712 e poi dal 1724 circa sino alla morte; assimilando la lezione impartitagli da Carlo Cignani durante il suo soggiorno emiliano, senza tralasciare le influenze del Pasinelli e Giovanni Gioseffo Dal Sole acquisite intorno al 1713. Colpisce e avvalora il riferimento al pittore il modo aggraziato, il chiaro cromatismo, la levigata politezza formale e la leggiadria espositiva, in sintonia con il barocchetto della pittura romana e in assonanza con la cultura francese. Dei raffronti esplicatici sono ad esempio quelli con la Santa Dorotea della Walter Art Gallery di Baltimora, con La Natività di collezione privata ad Agnano Pisano, con il San Tommaso d'Aquino nella Chiesa di San Domenico a Borgovalditaro, Il sogno di San Giuseppe di collezione privata romana e La Natività della collezione Schonborn a Pommersfelden.Bibliografia di riferimento:G. Sestieri, Repertorio della Pittura Romana della fine del Seicento e del Settecento, Torino 1999, I, pp. 166-68, III, figg. 1031-1040

Lot 925

(Frattamaggiore o Orta di Atella, 1585 circa - Napoli, 1656 circa)Giuditta con la testa di OloferneOlio su tela, cm 108X94La tecnica pittorica e i suoi effetti chiaroscurali appaiono ancor memori dell'intenso naturalismo partenopeo d'inizio secolo, mentre la delicatezza espressiva evoca gli esempi di Guido Reni, autore che con la sua influenza addolcì in senso classico lo stile del pittore. Il guardare e il misurarsi con la scuola bolognese e romana da parte dell'artista si avverte sin dagli anni precoci del suo percorso, per consolidarsi quando giunsero a Napoli Artemisia Gentileschi, il Domenichino e il Lanfranco, mentre più complessa è la relazione con Guido Reni, che con la città ebbe rapporti difficili anche se prolungati, tuttavia capaci di esercitare una profonda influenza, basti ricordare le creazioni del bolognese custodite ai Girolamini. Queste opere modificarono l'iter artistico di Stanzione e ne determinarono la fortuna collezionistica, critica e sociale, come attestano i titoli di Cavaliere dello Speron d'oro e dell'Ordine di Cristo ricevuti nel 1621 e nel 1627 da Gregorio XV e Urbano VIII, che gli consentirono di firmarsi MS EQUES o EQ MAX. Non sorprende allora che Stanzione fu da sempre considerato il dominatore incontrastato della scena artistica napoletana, l'inventore di una pittura sacra dalle dimensioni domestiche e rassicuranti, di un linguaggio in contrasto con la esasperata drammaticità del riberismo e la tela qui presentata ne è un esempio.Bibliografia di riferimento:R. Lattuada, Osservazioni su due inediti di Massimo Stanzione, in Prospettiva, 1989-1990, nn. 57-60, pp. 233-234S. Schutze, T. C. Willette, Massimo Stanzione. L'opera completa, Napoli 1992, p. 190, n. A2, fig. 95

Lot 926

(Siena, 1583 - 1653)Sacra Famiglia con San GiovanninoOlio su tela, cm 98X75Ricondotto al catalogo di Astolfo Petrazzi da Marco Ciampolini, l'opera è una preziosa aggiunta al catalogo dell'artista, che dopo la fortuna critica sei ; settecentesca nel corso del Novecento fu scarsamente studiato e solo grazie ai contributi di Elisabetta Davanzati e in modo particolare del Ciampolini beneficiamo di una lettura critica aggiornata. Emerge da questi studi una personalità di primo piano della pittura senese, con un catalogo che contempla innumerevoli opere pubbliche e, come testimoniano le fonti, svolse una vasta attività per committenti privati, realizzando altresì eccezionali nature morte. Ma come possiamo osservare dalla tela in esame, il pittore creò eleganti opere destinate alla devozione domestica, in cui al substrato senese si amalgama una personale sensibilità naturalistica. Questo aspetto si coglie prendendo atto delle notizie fornite da Giulio Mancini, che attesta il pittore a Roma nel 1619 dove soggiornò con continuità fino al 1622, ma che verosimilmente proseguì per buona parte del terzo decennio. Nella città Eterna Petrazzi ebbe modo di far proprie le istanze naturalistiche, realizzando opere come la Suonatrice di liuto e mettendo in pratica la propria attitudine realizzando nature in posa. Ringraziamo Marco Ciampolini per l'attribuzione. Bibliografia di riferimento:E. Avanzati, Astolfo Petrazzi, in Bernardino Mei e la pittura barocca a Siena, catalogo della mostra a cura di F. Bisogni ; M. Ciampolini, Firenze 1987, pp. 59-82M. Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, II, Antonio Nasini-Ventura Salimbeni, Siena 2010, pp. 563-607

Lot 927

(Bisceglie, 1605 - 1651)San Pietro penitenteOlio su tela, cm 99X74Il dipinto raffigura San Pietro penitente e l'impostazione iconografica evoca modelli ribereschi. La stesura e la luminosità tenebrosa invece, indicano una inclinazione pittoricistica rispetto ai prototipi dell'artista spagnolo, indicando l'influenza di Novelli, del Van Dyck e della pittura bolognese. Questi indizi fanno pensare ad un autore meridionale, di formazione napoletana e con esiti di stile che conducono a Cesare Fracanzano. L'artista che dalla natia Puglia è documentato nella città partenopea insieme al fratello Francesco, già negli anni Venti e documentato nella bottega di Giuseppe Ribera, producendo una serie di interessantissime opere dal vigoroso impasto. L'orientamento del pittore verso il maestro, dal quale desunse il naturalistico gioco chiaroscurale nel descrivere le figure, è qui ben rappresentato e la scelta di utilizzare una tavolozza quasi monocroma solo rinvigorita dalla luce ne pone in rilievo la forza espressiva e la qualità. Tali considerazioni suggeriscono una datazione matura, al sesto decennio, quando il pittore oramai affrancato dalle influenze riberesche modula la sua arte con declinazioni cromatiche d'influenza vandichiana e romana in analogia con il San Pietro della chiesa di Santa Maria di Nazareth di Barletta, la bellissima Adorazione dei pastori, esposta alla mostra Ritorno al Barocco curata da Nicola Spinosa e l'Adamo e Eva compiangono Abele morente recentemente pubblicata da Viviana Farina. Bibliografia di riferimento:P. Piscitello, in Ritorno al barocco da Caravaggio a Vanvitelli, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Napoli 2009, pp. 127-128, n. 1.48V. Farina, Artemisia e i pittori del conte. La collezione di Giangirolamo II Acquaviva d'Aragona, catalogo della mostra a cura di V. Farina, Cava dei Tirreni 2018, pp. 302 ; 303, n. 41

Lot 928

(Bologna, 1740 - 1815)San GiuseppeOlio su tela, cm 100X75Databile al XVIII secolo, il dipinto presenta una bella stesura, avvalorata dalla buona conservazione che evidenzia le raffinate tonalità cromatiche della pasta pittorica. Il modello compositivo, verosimilmente bolognese, è sviluppato dall'artista con una libera e mossa sensibilità atmosferica rispetto agli esempi seicenteschi e anche la figura, pur nella sua solennità, appare più delicata, con esiti non distanti da quelli di Jacopo Alessandro Calvi e Filippo Pedrini.Bibliografia di riferimento:Jacopo Alessandro Calvi. Disegni e dipinti, a cura di C. Pierallini e Eugenio Busmanti, Bologna, 1989, ad vocem

Lot 930

(Camerini, 1625 - Roma, 1713)Madonna con il Bambino e San GiovanninoOlio su tela, cm 100X78Riferita nella collezione di appartenenza a Carlo Maratti, in questa sede optiamo per un riferimento prudenziale altresì dettato dalla forte ossidazione e sporcizia che interessa la superficie pittorica. E' evidente che la tela derivi da quella oggi conservata all'Hermitage (olio su tela, cm 100X84) che già di collezione walpole nel 1736 è forse transitata in quella di Niccolò Pallavicini a Roma, è smaccatamente un'opera non finita e riferita alla piena maturità dell'artista. Bibliografia di riferimento:Museo Statale Hermitage. La pittura italiana del Seicento. Catalogo della collezione, a cura di S. N. Vsevolozskaja, Milano 2010, p. 228, n. 140

Lot 932

(Firenze, 1622 - Roma, 1717)Ritratto di gentiluomoOlio su tela, cm 104X78Allievo a Firenze di Giovanni Bilivert e Sigismondo Coccapani, ricordati dal Baldinucci (1681), lo sappiamo paggio alla corte dei Medici e giovanissimo condotto a Roma dal duca Jacopo Salviati. La benevolenza del nobile gli consentì di ottenere le prime commissioni e di farsi notare quale ritrattista, infatti nel 1655 fu scelto da Papa Alessandro VII Chigi e nel 1657 lo sappiamo membro dell'Accademia di San Luca, di cui fu principe nel 1671 e nel 1680. Divenuto accademico il pittore iniziò a ottenere commissioni pubbliche, si ricordano in questa sede la Morte della Vergine per Santa Maria della Pace, e un dipinto, mai realizzato, per San Carlo ai Catinari, la Visitazione nel transetto meridionale di Santa Maria del Popolo eseguito nel 1659 e al medesimo periodo risalgono le due versioni della Predica di San Francesco di Sales, una già nella collezione Chigi e l'altra in quella della Banca popolare di Modena. Bibliografia di riferimento:R. Sansone, Giovanni Maria Morandi e i Rospigliosi, in Paesaggio e figura. Nuove ricerche sulla collezione Rospigliosi, a cura di A. Negro, Roma 2000, pp. 17 ; 25F. Petrucci, Pittura di Ritratto a Roma. Il '600, Roma 2008, pp. 676 ; 693

Lot 935

(Milano, 1661 - 1713)Santa LuciaOlio su tela, cm 99X73Sia pur offuscata da sporcizia e ossidazioni delle vernici, la tela esibisce una sostenuta qualità pittorica, altresì avvalorata da una bella conservazione che consente una lettura precisa delle stesure e dei passaggi tonali. Analizzando la tipologia del volto e la peculiare impostazione scenica, si coglie un'aulica volontà illustrativa che, parafrasando Federico Zeri, sembra senza tempo, mentre l'osservazione dei capelli, degli occhi e della bocca suggeriscono con prepotenza confronti con le opere di Stefano Maria Legnani detto il Legnanino. Molteplici sono i riferimenti di confronto intrisi di affini sentimenti classici, come la Maddalena penitente già Christie's (Londra, 30 aprile 2010, lotto 90) che pare guardare ai migliori esempi emiliani (cfr. M. Dell'Omo, Per Legnanino ritrattista e pittore di soggetti sacri. Qualche aggiunta al catalogo, in Arte Cristiana, 99, 2011, 866, pp. 356-57, fig. 8- p. 360, nota 39), ma ancor più evidenti sono le analogie con la Vergine Maria presente nella Sacra Famiglia e un angelo con i simboli della Passione custodita nell'Istituto Barbara Melzi a Legnano (Cfr. M. Dell'Omo, Il Legnanino. Bologna 1998, p, 220, n. 111). Ringraziamo Massimo Pulini per l'attribuzione del dipinto eseguita su base fotografica.

Lot 936

(Venezia, 1605 - Padova, 1679)Giuditta con la testa di OloferneOlio su tela, cm 99X73Girolamo Forabosco è uno dei principali artisti del Seicento veneto, figura di spicco nell'ambito della ritrattistica e interprete raffinato della cultura barocca, ma altresì capace di rinnovare con modernità e raffinatezza la tradizione rinascimentale. Sugli esempi di Tiziano e del Padovanino, suo maestro, il pittore concepisce effigi di straordinaria introspezione psicologica e presenza, in cui è possibile cogliere altresì suggestioni desunte da Bernardo Strozzi e Tiberio Tinelli. Altrettanto importante è la sua produzione di quadri da stanza e di opere destinate a ornare edifici sacri, come l'Estasi di San Francesco e San Magno vescovo con l'angelo dipinte per la chiesa veneziana di S. Nicola da Tolentino.Bibliografia di riferimento:N. Roio, Forabosco Girolamo, in La Pittura nel Veneto, Il Seicento, a cura di Mauro Lucco, II, Milano 2001, p. 827C. Marinin, Girolamo Forabosco, Venezia 2015, p. 158, n. 29

Lot 937

(Bologna, 1575 - 1642)Santa CeciliaOlio su tela, cm 100X76Il dipinto raffigura Santa Cecilia, vissuta a Roma tra il II e il III secolo, martire per aver professato la sua fede cristiana. La Leggenda Aurea narra che durante l'esecuzione la Santa cantava lodi al Signore, tuttavia è quanto mai incerto il motivo per cui Cecilia sarebbe diventata patrona della musica. In realtà, un esplicito collegamento tra Cecilia e la musica è documentato soltanto a partire dal tardo Medioevo. Detto ciò, la tela è tratta dalla famosa immagine creata nel 1606 da Guido Reni per il Cardinale Sfondrato il quale, in seguito alla scoperta delle spoglie di Cecilia nel 1599, volle dedicarle la Chiesa di Trastevere e commissionò a Guido Reni la tela oggi custodita al Norton Simon Museum di Pasadena ; California. (olio su tela, cm 95,9X74,9; n. inv. F.1973.23.P).

Lot 938

San Pietro penitenteOlio su tela, cm 149X110L'immagine trova evidenti analogie con il San Pietro partecipe della pala dedicata alla Madonna della Ghiara oggi custodita al Museo Civico di Cento (olio su tela, cm 130X155) e realizzata dal Guercino intorno al 1618. Questa tela, dove ancor vigorosi sono i ricordi del ferrarese Carlo Bononi, presenta caratteri naturalistici intensi. Il San Pietro si evidenzia per la spiccata fisicità e l'arduo scorcio, avvalorato dalla regia di lume che genera tridimensionalità alla figura. Tornando invece all'opera qui esaminata, si deve osservare che sia pur trattandosi di una chiara citazione, assume grazie al paesaggio di sfondo e all'ambientazione chiaroscurale una indiscutibile autonomia iconografica tramutandosi in un San Pietro Penitente. Rimane quindi da sciogliere il nodo attributivo, riferendo per ora l'opera alla scuola del maestro o a un artista di area ferrarese.

Lot 939

(Sciacca, 1731 - Roma, 1807)Visione di Santa RitaOlio su tela, cm 138X78Mariano Rossi si formò a Palermo con Filippo Randazzo e nel 1744 lo sappiamo a Napoli nella bottega di Francesco Solimena, con il quale apprese la tecnica del buon fresco. Nel 1750 il pittore si trasferì a Roma dove collaborò con Marco Benefial e, nel 1766 fu accolto all'Accademia di San Luca. La sua arte esprime una eccellente sintesi dei migliori artefici napoletani, dimostrando uno studio attento degli esempi del Solimena, di Luca Giordano e Corrado Giaquinto, ma rinnovati dal classicismo romano con esiti di altissimo livello qualitativo. La fama del Rossi è dovuta principalmente per aver affrescato la volta del salone d'ingresso di Villa Borghese a Roma nel 1774 raffigurante L'Apoteosi di Romolo accolto da Giove nell'Olimpo. Ma anche per aver dipinto Il Sogno di Papa Innocenzo III nella chiesa di Santa Maria all'Ara Coeli, e, su commissione del re di Napoli Ferdinando IV, la volta del salone che fa da anticamera agli appartamenti reali della Reggia di Caserta. In questo salone, il pittore raffigurò anche Le nozze di Alessandro Magno con Rossana. Ma le opere di Mariano Rossi, riconosciuto come uno dei maggiori pittori del Settecento italiano, si trovano in tutta Italia e soprattutto in Sicilia, dove, tra le molte imprese, a Palermo dipinse il catino e l'abside della Cattedrale.Bibliografia di riferimento:G. Sestieri, Per Mariano Rossi, in Paragone, 359 ; 361, 1980, pp. 36 ; 60C. Siracusano, Mariano Rossi, in La Pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 317 ; 321D. Beccarini, Nella più prestigiosa capitale del gusto. i pittori siciliani a Roma durante il pontificato di Benedetto XIV, in Bollettino dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, 2016, 33 (2015), pp. 185; 226

Lot 940

(attivo nel XV secolo)Madonna con il Bambino e San GiovanninoOlio su tavola, cm 87X63Il dipinto reca una tradizionale attribuzione a Domenico Puligo (Firenze, 1492 - 1527). La composizione, i tratti stilistici e la stesura rimandano al lessico del maestro, artista sensibile e delicato, abilissimo nel replicare con brillante originalità le forme classicheggianti della sua epoca. Formatosi con Ridolfo del Ghirlandaio, da cui apprese secondo il Vasari il colorito vaghissimo e la maniera abbagliata, con perdere i contorni negli scuri de' suoi colori, che piacendogli dare alle sue figure una aria gentile, fece in sua gioventù infiniti quadri con buona grazia, fu altresì influenzato dall'arte di Andrea del Sarto, da cui trarrà alcuni modelli compositivi. Non a caso, la Madonna col Bambino, San Giovannino e due angeli della Borghese, che segue una struttura illustrativa prossima a questa in esame, recava un'attribuzione al Sarto ma le difficoltà attributive sono altrettanto evidenti sfogliando le opere dei collaboratori, spesso di alta qualità, come a esempio il Maestro di Volterra (attivo tra il 1530-1570), forse da indentificarsi con l'allievo del Puligo indicato dal Vasari con il nome di Domenico Beceri. A tale proposito, sono interessanti i confronti con le tavole custodite nella Villa di Poggio Imperiale presso Firenze e alla Pinacoteca di Siena (Capretti 2002, pp. 95 - 95, n. 15, fig. 57). Bibliografia di riferimento: E. Capretti, S. Padovani, S. Casciu, Domenico Puligo 1492 ; 1527, catalogo della mostra, Firenze 2002, ad vocem

Lot 941

(Roma, 1589 - Venezia, 1623)Cristo tentato da SatanaOlio su tavola, cm 42X32Bibliografia:E. Safarik, Fetti, Milano 1990, pp. 65 ; 67; p. 65, altri esemplari n. 17aDel dipinto conosciamo la versione già di collezione M.S. Horton (Regno Unito, olio su tavola, cm 85.5X70.5) successivamente esitata presso Christie's di Londra, 8 luglio 1988, lotto 110. Il confronto tra le due versioni non presenta differenze sostanziali, ma la forte ossidazione della tavola qui presentata non consente una analisi stilistica e qualitativa adeguata. Safarik pubblica inoltre la redazione in esame presentandola con l'ambigua dicitura 'altri esemplari' e senza esprimersi chiaramente sull'autografia. L'opera in esame rientra nel difficile problema della bottega fettiana e della sua complessità, che obbliga a meditare sulle capacità imprenditoriali del pittore, definendo il suo atelier un vero e proprio epicentro produttivo, dove i dipinti erano riletti in diverse varianti ma solo dopo aver ricevuto l'imprimatur del maestro e il suo intervento, erano disponibili alla vendita.Bibliografia di riferimento:E. Safarik, Domenico Fetti, Milano 1990, ad vocem R. Morselli, La famiglia e gli allievi, in Domenico Fetti 1588/89 ; 1623', catalogo della mostra a cura di E. Safarik, Milano 1996, pp. 268, con bibliografia precedente

Lot 942

(Urbino, 1483 - Roma, 1520) Madonna con il Bambino e San GiovanninoOlio su tela, cm 73X61Il dipinto è copia ottocentesca della Madonna della tenda conservata alla Alte Pinakothek di Monaco e realizzata dal Sanzio nel 1513-1514 (Olio su tavola 51.2 x 65.8; n. Inv. 797). L'opera viene di solito collegata strettamente alla Madonna della Seggiola, della quale appare come una variante. Una descrizione del Conca (1793) la ricorda nelle raccolte dell'Escorial, da dove all'inizio dell'Ottocento sarebbe passata in Inghilterra. Qui fu acquistata per Ludovico di Baviera. Le cattive condizioni di conservazione hanno fatto dubitare a più riprese dell'autografia: secondo Cavalcaselle era da riferire a Domenico Alfani su disegno del Sanzio, mentre Ortolani la riteneva autografa.

Lot 949

Estasi di Santa Caterina da SienaOlio su tela, cm 71X58

Lot 950

Mater dolorosaOlio su tela, cm 74X61La composizione è ispirata da un modello di Tiziano Vecellio che riscosse uno straordinario successo la cui versione autografa è riconoscibile nella Mater dolorosa realizzata dal pittore nel 1554 e custodita al Museo del Prado (cfr. M. Falomir, Tiziano, Museo Nacional del Prado, Madrid 2003, pp. 385-386). La forte ossidazione della superficie pittorica e la sporcizia non consentono una lettura adeguata dell'opera, che dai caratteri tecnici si suppone databile al XVI - XVII secolo. Detto ciò, a distanza ravvicinata possiamo percepire che l'esecuzione esula dalla maniera dura e stanca tipica delle copie, inducendo a leggere il dipinto quale interpretazione dell'originale. A questo proposito sappiamo delle simili composizioni eseguite da Jacopo Bassano e dai suoi figli, la cui bottega fu attiva sino alla prima metà del XVII secolo e sempre in questi decenni l'immagine fu altresì affrontata da Van Dyck e da artisti spagnoli come il Morales e il Murillo. Bibliografia di riferimento:A. Ballarin, Jacopo Bassano, I, 1531-1568 , Venezia, 1996, II, tav. 838, come Tiziano (?)

Lot 954

(Helsingør, 1624 - Roma, 1687)Ritratto di giovane al pozzoOlio su tela, cm 99X74Si deve a Roberto Longhi la corretta lettura critica del pittore di origini danesi Monsù Bernardo, lo studioso ne distinse la produzione rispetto a quella di Antonio Amorosi e ne colse le affinità con Domenico Fetti (cfr. R. Longhi, Monsù Bernardo, in La critica d'arte, 1938, pp. 121-130). Mentre fu Federico Zeri a evidenziare alcune affinità con Bernardo Strozzi, grazie al ritrovamento nella Galleria Pallavicini di Roma di una copia della nota Cena in Emmaus che il Cappuccino replicò più volte. È indubbio che il Keil fu uno dei più originali pittori del suo tempo, tanto che Filippo Baldinucci gli dedicò una biografia nelle sue Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, considerandolo un artefice lodatissimo, i cui quadri erano richiesti in tutta Europa (Firenze 1728, VI, pp. 510-516). Artista itinerante e dal plurilinguismo stilistico, Keil si formò inizialmente con il padre Gaspard e il danese Morten van Steenwinkel, per poi unirsi alla celeberrima bottega di Rembrandt ad Amsterdam dal 1642 al 1644. Partito per l'irrinunciabile viaggio in Italia, sostò nelle città tedesche di Francoforte, Colonia, Magonza e Augusta, dove portò a termine alcune commissioni, per giungere finalmente a Venezia nel 1651. In questo periodo lo sappiamo intento a eseguire ritratti, affreschi e tele di carattere sacro nei territori della Serenissima, in particolare a Bergamo, per poi approdare a Roma nel 1656. Nella Città Eterna l'artista conobbe il caravaggismo e la Scuola dei Bamboccianti, senza tralasciare i modelli delle eleganti nature morte ivi prodotte. Questa cultura eterogenea si coglie assai bene nel dipinto qui presentato, tipico della sua migliore produzione e partecipe di quelle dedicate all'allegoria dei Cinque sensi da lui compiute cogliendo il pretesto di un soggetto alto offrendoci singolari ritratti di vita quotidiana. Nel nostro caso la scena allude al tatto e all'elemento dell'acqua, evocati da un giovane intento a raccogliere acqua da un pozzo e caratterizzata da una stesura morbida e fluida, ma capace di descriverne con schiettezza la figura senza tuttavia trascendere nel crudo realismo. Sono poi da osservare gli eleganti brani di natura morta e la straordinaria resa delle vesti, in modo particolare il nastro rosa della manica, che denotano una qualità tra le migliori della produzione di Keilhau, che in questo caso si rivela altresì quale straordinario ritrattista. Infine, si deve indicare che di questa composizione non esistono altre versioni e vista la propensione dell'artista a replicare più volte le sue opere, la tela in esame si rivela un unicum. Bibliografia di riferimento:F. Baldinucci, Notizie de' Professionisti del Disegno (1681 - 1728), Firenze, 1972, ad vocemR. Longhi, Monsù Bernardo, in La critica d'arte, 1938, pp. 121-130L. Laureati, in Da Caravaggio a Ceruti. La scena di genere e l'immagine dei pitocchi nella pittura italiana, catalogo della mostra, a cura di F. Porzio, Milano 1998, pp. 336-337M. Heimburger, Bernardo Keilhau detto Monsù Bernardo, Roma 1988, p. 217, n. 128M. Heimburger, Eberhart keilhau, København 2014

Loading...Loading...
  • 43271 item(s)
    /page

Recently Viewed Lots