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Lot 1068

(? ; Haarlem, 1666)BaccanaleFirmato P Spyckerman in basso a destraOlio su tavola, cm 72X101Sono scarne le notizie biografiche inerenti a Pieter Spykerman, ma lo sappiamo allievo di Reynier van der Laeck, nato all'Aia tra il 1615 e il 1620 dove morì entro il 1648 e ciò fa supporre che il nostro artista sia nato nella medesima città. Laeck fu altresì allievo o seguace di Cornelis van Poelenburch e di conseguenza si spiega la comunanza iconografica tra la tavola in esame con quelle del celebre maestro. L'opera è corredata da una perizia di Ferdinando Arisi.

Lot 1070

(Siegen, 1577 - Anversa, 1640)CrocifissioneOlio su tela, cm 54X36Il dipinto è desunto dalla Crocifissione realizzata da Pietro Paolo Rubens nel 1613 oggi conservata al Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa (olio su tavola, cm 221X121).Bibliografia di riferimento:M. Jaffé, Rubens. Catalogo Completo, Milano 1989, pp. 185 ; 186, n. 200

Lot 1071

Ecce HomoOlio su tavola, cm 52X41La tavola raffigura una Imago Pietatis, meglio nota come Ecce Homo (Ecco l'Uomo) dalla frase che pronunziò Ponzio Pilato presentando Cristo ai sacerdoti dopo averlo flagellato, confidando che questa potesse essere la massima punizione possibile. La tipologia illustrativa pare ispirarsi a quella concepita da Antonio Allegri nel 1526 e oggi conservata alla National Gallery di Londra. I caratteri di stile indicano però una esecuzione da parte di un artista nordico, verosimilmente fiammingo o spagnolo, come suggerirebbe il tenore drammatico ed espressionista del volto, non distante dagli esempi di Luis de Morales (Badajoz, 1510 - Alcántara, 1586) e di altri maestri del rinascimento iberico, in cui oltre a incidenze locali e mediterranee, spingono il loro realismo guardando l'arte fiamminga.

Lot 1077

(Delft, 1621 - Rotterdam, 1664)Adorazione dei pastoriFirmato Olio su tavola, cm 58X64Lo stile e il carattere dell'immagine suggeriscono l'origine nordica dell'autore, un fiammingo attivo attorno alla metà del XVII secolo e il tema è stato affrontato con una sentita sensibilità naturalistica. Le figure come possiamo notare mostrano l'influenza di Van Ostade, a cui si deve l'ambientazione crepuscolare, interrotta dagli accenti cromatici vivaci di alcune vesti. Poel divenuto celebre per raffigurare vedute notturne con incendi ma fu altresì pittore di storia creando scene alla migliore maniera olandese. L'opera è corredata da una scheda critica di Raffaella Colace.Bibliografia di riferimento:A. Goldschmidt, Egbert van der Poel und Adriaen van der Poel, Oud Holland 40 (1923), pp. 57-66F. G. Meijer, A dictionary of Dutch and Flemish still-life painters working in oils, Leiden 2003, p. 162

Lot 1078

(L'Aia, 1626 - 1676)Paesaggio con cacciagioneOlio su tela, cm 62X47Il dipinto raffigura un albero con cacciagione alla stregua di un trofeo. La resa estremamente naturalistica allude al diretto contatto di Lelienbergh con la natura, dimostrandosi un abile animalier. Con maestria il pittore coglie la consistenza del piumaggio, senza trascurare la qualità ambientale del fondale. L'artista, come sappiamo, si dedicò prevalentemente al genere naturamortistico e le sue opere elegantemente crepuscolari sono caratterizzate da tonalità grigio argento, in modo particolare durante il momento giovanile e la prima maturità. Dal punto di vista biografico abbiamo scarne notizie, ma sappiamo per certo che nel 1646 era registrato alla Gilda di San Luca dell'Aia e nel 1656 fu uno dei fondatori della 'Confrerie Pictura', confraternita istituita nel 1656, sotto il nome di Konstgenootschap van Pictura, da coloro che dissentivano con la Gilda. Bibliografia di riferimento:L. J. Boi, Hollàndischer Maler des 17. Jahrhunderts, nahe den groften Meistem. Landschaften und Stillleben, Monaco di Baviera, s.d., ad vocem

Lot 1080

(Anversa o Utrecht, 1575 o 1580 - Amsterdam, 1638)PaesaggioOlio su tavola, cm 39X62Il dipinto reca un'attribuzione all'artista fiammingo Gillis Claesz de Hondecoeter, il cui stile fu influenzato da David Vinckboons, e Roelant Savery dedicandosi a dipingere paesaggi e animali. La tavola in esame presenta aspetti qualitativi assai apprezzabili, soprattutto per l'equilibrio formale e cromatico dell'ambientazione atmosferica. Colpisce altresì la conduzione pittorica per descrivere velocemente il terreno e l'eleganza delle sfumature con cui sono delineati gli alberi in lontananza con esiti di straordinaria poesia.

Lot 1081

(Rotterdam, 1618 - L'Aia, 1709)Cacciatore addormentatoFirmato e datato Olio su tela, cm 46X60La tela raffigura una muta di cani a riposo con un bambino addormentato ed è realizzata dall'olandese Beeldemaker, uno dei più noti pittori animalier dei Paesi Bassi e famoso per la descrizione di scene di caccia e di cani, ma di lui si conoscono anche ritratti. Nel 1650 l'artista è registrato alla gilda di Leida, dove lavorò sino al 1676 quando si trasferì all'Aia. L'opera in esame è tipica dell'artista come mostra il confronto con altre sue opere che vedono di consueto uno o due personaggi e gli immancabili cani. Seppur legato al paesaggio, il tema della caccia non diventa mai per Becldemaker spunto per sondare gli umori e le condizioni mutevoli della natura che per lui aveva poco significato se non come scenario per le attività dell'uomo e dei suoi animali. Entro il corpus dell'artista troviamo molti dipinti affini al nostro, tra cui ad esempio Cacciatori e cani in riposo in un paesaggio nel Westfries Museum a Hoorn (Olanda del Nord) (inv./cat.nr 00589- A 4) e quello, dal medesimo soggetto, passato sul mercato antiquario a Londra nel 2005 (archivio RKD- Rijksbureau Kunsthistorische Documentatie, L'Aia), rispettivamente firmati e datati 1695 e 1696.L'opera è corredata da una scheda critica di Raffaella Colace.

Lot 1083

(Firenze, 1585 - Madrid, 1638)Monaci certosini in processioneOlio su tela, cm 50,5X84Nativo di Firenze ma trasferitosi in Spagna nel 1585 con il fratello maggiore Bartolomeo al seguito di Federico Zuccari, il pittore raggiunse precocemente una posizione di prestigio e portatore di una propensione naturalistica tipica della cultura figurativa toscana di fine secolo, ma ulteriormente arricchita da influenze venete. Le sue prime opere note si datano al 1606 e si conservano al Museo di Valladolid, ma provenienti dallo scomparso convento di San Diego e alla morte del fratello avvenuta nel 1609 l'artista fu nominato pintor del rey assicurandosi innumerevoli commissioni gestendo una ben organizzata bottega. La tela in esame colpisce per la sua austera essenzialità, con i monaci che si stagliano su uno sfondo neutro privo di connotazioni ambientali, ma mostrando volti caratterizzati e realistici, creando una scena modulata dalle cromie e da una luce calda che crea riflessi e ombre. Come pittore, Carducci esercitò un forte influsso sul mondo artistico madrileno, sia nell'ambiente di corte, sia tra la clientela monastica, per la quale realizzò le sue opere migliori proprio negli ultimi anni di vita, come a esempio le cinquantasei grandi tele che illustrano la storia dell'ordine dei Certosini già nel Monastero del Paular e oggi custodite al Prado.L'opera è corredata da una scheda critica di Raffaella Colace.

Lot 1084

(Haarlem, 1626 - 1690)Interno con studioso (1667)FirmatoOlio su tela, cm 53X43Provenienza:Londra, Christie's, 18 aprile 1991, lotto 127 (come Hendrik Heerschop)Allievo di Willem Claesz secondo l'RKD Heerschop fu verosimilmente anche alla bottega di Rembrandt, ma come possiamo notare le sue composizioni furono altresì ispirate da Johannes Vermeer. A confronto possiamo citare il simile dipinto conservato all¿Aia presso il Museo Bredius (inv./cat.nr 176-1946- Cfr. A. Blankert, Museo Bredius. Catalogus van de schilderijen en tekeningen, Zwolle-Den Haag 1991, pp. 105-106 n. 70) e quello del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam (inv./cat.nr 2508- Cfr. https://rkd.nl/explore/images/24742).Bibliografia di riferimento:S. Gudlaugsson, Drie zelfportretten van Hendrik Heerschop, Kunsthistorische Mededelingen van het Rijksbureau voor Kunsthistorische Documentatie 2 (1947), pp. 3-5

Lot 1085

Cristo derisoOlio su tavola, cm 54X78Non si è trovato per ora un modello illustrativo simile a questa composizione, che per stile e caratteri espressivi si presume realizzata da un artista di area germanica, fortemente influenzato da Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528) e dalla pittura veneta cinquecentesca.

Lot 1088

(Rotterdam, 1625/1631 - Londra, 1691)Due cani che spaventano un aironeFirmato sul blocco di marmo in basso a sinistraOlio su tavola, cm 28X32Provenienza:Forse già New York, Christie's, 10 gennaio 1990, lotto 48Abraham Hondius è documentato a Rotterdam tra il 1651 e il 1659 e i suoi primi dipinti conosciuti risalgono al 1651. Le fonti affermano che sia stato allievo di Cornelis Saftleven (1607/08 - 1681) e possibilmente di Pieter de Bloot (1601-1658). Le sue prime scene di caccia e di animali sono chiaramente influenzate da Ludolf de Jongh (1616 - 1679), che era stato anche discepolo di Cornelis Saftleven. Tra il 1659 e il 1664 il pittore fu attivo ad Amsterdam, dove fu influenzato da un altro specialista in scene di caccia, il tedesco Juriaen Jacobsz (1624 - 1685), che si era formato con Frans Snyders ad Anversa. Nel 1665 tornò a Rotterdam, dove rimase fino al 1670 per poi trasferirsi a Londra.Bibliografia di riferimento:M. Peyser Verhaar, Abraham Hondius: his life and background, Oud Holland 112 (1998), pp. 151-156S. Karst, Off to a new Cockaigne: Dutch migrant artists in London, 1660-1715, Simiolus 37 (2013-2014), pp. 25-60

Lot 1089

(Vicenza, prima del 1556 - Vicenza, 1632)Bozzetto per una Adorazione dei pastori Olio su tela applicata su tavola, cm 32X28Formatosi nella bottega paterna a Vicenza, fu successivamente allievo di Giovanni Antonio Fasolo, tramite il quale poté conoscere la maniera dei veronesiani vicentini, in particolare di Giovan Battista Zelotti. Ma fu durante il soggiorno veneziano tra il 1572 e il 1576 che il pittore fu influenzato dalle opere di Palma il Giovane e nella prima maturità da Jacopo Bassano. E¿ in questi anni che le sue opere assumono delicate intonazioni tenebrose, ma ricche al contempo di colore e vivaci per costruzione scenica.

Lot 1090

(Roma, 1663 - 1748)Bozzetto Madonna con Bambino e SantiOlio su tela, cm 48,5X38L'opera in esame reca un'attribuzione collezionistica a Michelangelo Cerruti e indicata quale bozzetto per la pala raffigurante la Madonna del Rosario nella chiesa omonima di Roma. Ignorato dai biografi contemporanei o di poco posteriori, il Cerruti viene solo menzionato nella Storia pittorica dell'abate Lanzi assieme ad un altro poco noto pittore del Settecento romano, Biagio Puccini: il Lanzi dice che essi lavorarono sotto i pontificati di Clemente XI e Benedetto XIII e che 'furon tenuti buoni pratici'. Nicola Pio invece ci informa dell'apprendistato pittorico, che cominciò piuttosto tardi, a venticinque anni, sotto la guida di Giuseppe Passeri da cui apprese 'il modo di colorire'. Dei primi due decenni del secolo è con sicurezza tutta una serie di opere ricordate dal Pio: un quadro ad olio con la Presentazione della Madonna al tempio e due piccoli affreschi laterali con l'Annunziata e l'Immacolata Concezione nella chiesa di S. Pietro in Montorio; un affresco con l'Assunzione e una tela con la Natività di Maria in S. Venanzio dei Camerinesi. Bibliografia di riferimento:V. Casale, Diaspore e ricomposizioni: Gherardi, Cerruti, Grecolini, Garzi, Masucci ai Santi Venanzio ed Ansuino in Roma, in Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, a cura di M. Natale, Milano 1984, II, pp. 736 ; 754, fig. 735

Lot 1092

(Venezia, 1430 - 1516)Madonna con BambinoOlio su tavola, cm 58X43La tavola è forse riconoscibile in quella esitata presso la Phillips di Londra il 5 luglio 1994 lotto 184 e giudicata quale opera dello studio dell'artista. Giovanni Bellini fu uno dei più eminenti pittori veneziani del XV secolo e le sue opere furono una elegante sintesi della cultura rinascimentale e quella tardo gotica. Durante la sua lunga vita contornata da una fortuna critica, collezionistica e commerciale senza pari, produsse un numero altissimo di seguaci ed imitatori per tutto il Cinquecento e la tavola in esame è uno di questi prodotti che Fritz Heinemann avrebbe classificato tra le invenzioni di Giovanni Bellini. Bibliografia di riferimento: A. Tempestini, Giovanni Bellini, catalogo completo dei dipinti, Firenze 1992, ad vocem

Lot 1094

(Anversa, 1564 - 1635)PaesaggioOlio su rame, cm 21X35Il dipinto è stato attribuito alla tarda maturità di Joos de Momper da Ferdinando Arisi, quando la transizione da lui condotta dalla cultura cinquecentesca e manieristica si compie e le sue opere assumono un carattere decisamente naturalistico. Questa evoluzione avviene dopo il viaggio in Italia del 1580, in cui le sue opere tradiscono al meglio l'inclinazione al vero coniugato a una visione emotiva. Ma a tal proposito si deve qui ricordare che Lodewijk Toeput detto il Pozzoserrato (Anversa o Malines, 1550 circa - Treviso, 1604 o 1605), allora attivo a Venezia, fu menzionato come suo insegnante in un inventario del 1624, mentre paiono a lui riferibili gli affreschi nella Chiesa di San Vitale a Roma, precedentemente attribuiti a Paul Bril. Altresì riconoscibilissima è la sua tecnica pittorica in grado di evocare al meglio l'atmosfera e le lontananze prospettiche.L'opera è corredata da una perizia di Ferdinando Arisi.Bibliografia di riferimento:K. Ertz, Josse de Momper der Jüngere. Die Gemälde mit kritischem Oeuvrekatalog, Freren 1986, ad vocem

Lot 801

(Londra, 1726 - 1770) Ritratto di Mrs. BrogdonFirmato e datato Cotes Pinxit 1752 in alto a destraPastello su carta, cm 61X45Provenienza:New York, Sotheby's, 5 aprile 1990, lotto 341 Bibliografia:N. Jeffares, Dictionary of pastellists before 1800. Cotes dated pastels in chronological order: https://archiv.ub.uni-marburg.de/es/2019/0049/Internet-Seiten/Jeffares.htmFrancis Cotes fu celebre per le sue opere a pastello e membro fondatore della Royal Academy of Arts, rivaleggiò con Joshua Reynolds e Thomas Gainsborough nella ritrattistica. Formatosi con George Knapton, nel 1767 dipinse il ritratto della regina Charlotte con la figlia che re Giorgio III conservava nella sua camera da letto a Buckingham House. In quegli anni Cotes era uno dei pastellisti più ricercati e alla moda, tanto da essere soprannominato il 'Rosalba Carriera d'Inghilterra'.

Lot 802

(Venezia 1712 - 1798)Ritratto di bambina con ciliegieOlio su tela, cm 47X36,5L'autore di questo dipinto si può identificare in Giuseppe Angeli, il più dotato fra gli allievi di Giovanni Battista Piazzetta, tanto che nel 1645 è documentato quale direttore della sua attivissima bottega. Dal maestro, l'Angeli trae quella luminosità cromatica tralasciando le componenti patetiche, esibendo una stesura soffice e una pastosità del colore intonata su accordi delicati, rosa argentei, azzurri profondi e grigi morbidi, con un linguaggio sensuale e suggestivo. Visibili sono gli aggiornamenti desunti dall'arte di Rosalba Carriera e Jacopo Amigoni che connoteranno la produzione matura dell'artista, che, con il 1757, assumerà l'incarico di maestro di nudo all'Accademia. Sono gli anni a cui si riferisce l'esecuzione di questa bellissima tela e la giovinetta rappresentata è un modello più volte ritratto dal nostro pittore sin dalle prime prove; riconoscibile, ad esempio, nella pala con il Beato Gerolamo Miani e alcuni orfanelli in preghiera attorno al crocifisso della chiesa veneziana di Santa Maria dei derelitti e dell'ospedaletto e nel dipinto con Fanciulle che fanno il solletico a un ragazzo addormentato, pubblicata da Egidio Martini nel 1981. Bibliografia di riferimento:E. Martini, La Pittura del Settecento veneto, Udine, 1981, fig. 308T. Pignatti, Giuseppe Angeli, catalogo della mostra Giambattista Piazzetta e il suo tempo, la sua scuola, Venezia, 1983, aad vocemR. Pallucchini in La Pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1996, II, pp. 161 ; 162, fig. 227

Lot 814

Mosè e le figlie di Jetro Olio su tela, cm 93X132Opera desunta dalla tela realizzata da Ciro Ferri, oggi custodita presso il Museo d'arte di San Paolo del Brasile, che fu d'ispirazione a Pietro Aquila per una sua celebre incisione. La formazione dell'artista avvenne nella bottega del pittore-incisore palermitano Pietro del Pò (Palermo, 1610 - Napoli, 22 luglio 1692). A Palermo, Pietro Aquila lasciò diversi lavori, tra cui ricordiamo 'La parabola del figliol prodigo' e 'Abramo e Melchidesech' (entrambi custoditi nella Chiesa della Pietà), alcuni affreschi nella chiesa di Santa Cita e diverse tele nella chiesa di Santa Maria delle Vergini. Successivamente si recò a Roma, dedicandosi soprattutto all'attività da incisore.

Lot 821

(Lodi, 1500 - 1561) Madonna con BambinoTempera su tela, cm 80X68Provenienza:New York, Sotheby's, 27 gennaio 2006, lotto 287 (come Callisto Piazza)Nato a Lodi, Callisto ha ricevuto la sua prima formazione artistica sotto il padre Martino. Intorno al 1524 è registrato attivo a Brescia verosimilemente nella bottega di Gerolamo Romanino ma sappiamo che produsse numerose opere, tra cui diverse per le chiese della Valcamonica. Nel 1529 tornò a Lodi e rimase radicato in quella città per il resto della sua vita gestendo una bottega fiorente e produttiva. A Brescia sappiamo che l'artista visse nella canonica di San Lorenzo, locatario del preposito Alessandro Averoldi, che gli ordinò 'uno quadreto de uno brazo depento de la Madona cum il suo Fiul in brazo' (M. Marubbi, in I Piazza da Lodi. Una tradizione di pittori nel Cinquecento, a cura di G.C. Sciolla, Milano 1989, pp. 394-395). Le parole dell'Averoldi descrivono nel dettaglio una tipologia illustrativa che induce immediatamente a pensare al dipinto in esame ma che supponiamo appartenere tuttavia a un momento maturo. Si evidenzia comunque in questo caso il talento disegnativo del pittore e l'opera consente altresì di cogliere la rivalutazione in senso precaravaggesco operata da Roberto Longhi nel 1929 (R. Longhi, Quesiti caravaggeschi. I precedenti, Firenze 1929, in Opere complete, IV, Firenze 1968, p. 105), recuperando in una sintesi tutta lombarda il substrato giorgionesco e leonardesco di un artista che in parte resiste ai sintomi manieristici della sua epoca. Bibliografia di riferimento: I Piazza da Lodi. Una tradizione di pittori nel Cinquecento, a cura di G.C. Sciolla, Milano 1989, ad vocem

Lot 822

(Firenze, 1642 - 1710)Natura morta di fiori recisi in vaso doratoOlio su tela, cm 86,5X71I caratteri compositivi di questo elegante vaso fiorito esprimono gli esiti del pittore fiorentino Andrea Scacciati, che insieme a Bartolomeo Bimbi fu uno dei principali naturamortisti toscani tra la fine del XVII ed il primo decennio del XVIII secolo. Stagliati su un fondo scuro, il prezioso vaso sbalzato e gli steli emergono verso il primo piano con inaspettata forza pittorica e un'ostentazione tipicamente barocca. Osservando i fiori si riconoscono le diverse fenologie, descritte con attenta sensibilità botanica grazie a una stesura ricca di impasti e tonalità. Queste caratteristiche denotano altresì la buona conservazione che si mostra in tutta la sua valenza decorativa. Secondo i caratteri di stile la tela si dovrebbero collocare all'ottavo-nono decennio, in analogia con il 'Vaso in metallo dorato con fiori' firmato e datato 1682 pubblicato da Sandro Bellesi (cfr. Bellesi, p. 113, n. 22) e con altre tele presentate dallo studioso (Cfr. Bellesi, pp. 92-96, nn. 2-6 e p. 101, n. 11), che riconducibili tra i primi anni Settanta e i primi anni Ottanta offrono adeguati confronti cronologici. Così, la struttura sfrangiata e vibrante dei fiori che si stagliano sul fondale scuro e si rischiara verso il margine destro in basso, è un artificio scenico che evoca la profondità prospettica offrendo un effetto a tutto tondo peculiare alla sua produzione matura.Bibliografia di riferimento:R. Spinelli, in La natura morta a palazzo e in villa. Le Collezioni dei Medici e dei Lorena, catalogo della mostra a cura di M. Chiarini, Firenze 1998, pp. 160 -161, nn. 79-80M. Mosco e M. Rizzotto, Andrea Scacciati, in La Natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Milano 1989, II, p. 589, fig. 697M. L. Terlizzi, I fiori dei Medici, Milano 2005, ad vocemS. Bellesi, Andrea Scacciati. Pittore di fiori, frutta e animali a Firenze in età tardobarocca, Firenze 2012, ad vocem

Lot 823

(Parma, verso la metà del XVII secolo ; Verona, 1750)Natura morta di fiori recisi in vaso modellatoOlio su tela, cm 66X48Provenienza:Londra, Christie's, 18 aprile 1997, lotto 11Vienna, Dorotheum, 9 giugno 1999, lotto 124Genova, Wannenes, 3 marzo 2016, lotto 1322Secondo il Guarienti nell'Abecedario pittorico dell'Orlandi stampato nel 1753, il Biggi 'dipinse fiori con tale naturalezza che pochi l'hanno eguagliato, o però non solo per le case nobili di Verona, ma dalle più cospicue città straniere gli furono ordinate molte opere largamente pagate'. Nato a Parma intorno al 1650, il Biggi lasciò ben presto la città natale per dirigersi a Verona, dove è registrata la sua presenza a partire dal 1680, dopo una probabile formazione a Roma nella bottega di Mario de' Fiori, non documentata, ma attestata da alcuni dipinti che ne mostrano la forte influenza. Il trasferimento nella città scaligera, dove dipinse con successo fino alla morte, fu dovuto forse ad un omicidio commesso in patria o più probabilmente alla predilezione della corte e dei collezionisti parmensi per gli artisti oltremontani. Le due tele della pinacoteca di Siena, uno dei quali firmato 'Foelix Fortunatus de Biggi civis Parmensis aetatis 36 fecit Verone' costituiscono il più importante documento figurativo per costruire il catalogo e la biografia del pittore, che si dimostra uno dei migliori fioranti attivi nel nord Italia durante la seconda metà del XVII secolo. Segnaliamo infine che l'assenza del vaso vitreo visibile in basso a sinistra nelle foto precedenti a questa pubblicata non era originale, ma frutto di un intervento successivo. Bibliografia di riferimento:P.A. Orlandi, P. Guarienti, Abecedario Pittorico, Venezia, 1753, pp. 163-164B. Dal Pozzo, Le vite de' Pittori, degli Scultori et Architetti Veronesi, Verona, 1718, p. 299, appendice p. 40E. A. Safarik, F. Bottari, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Milano 1989, I, pp. 334-339G. Bocchi, U. Bocchi, Felice Fortunato Biggi detto Felice dei fiori (Parma verso la metà del XVII secolo-Verona dopo il 1680), in Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana fra XVII e XVIII secolo, Firenze 1998, pp. 411-416A. Crispo, Qualche aggiunta per Felice Fortunato Biggi e la pittura di fiori in Emilia-Romagna fra Sei e Settecento, in Parma per l'arte, IX, 1-2, 2003, p. 90

Lot 829

(Pieve di Cadore, 1488/1490 - Venezia, 1576)Martirio di San PietroOlio su tela, cm 45X30Il dipinto trae ispirazione dall'opera di Tiziano nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, distrutto per un incendio nel 1867 e attualmente sostituito da una copia seicentesca di Johann Carl Loth.

Lot 832

(Urbino, 1843 - Roma, 1520)Sacra FamigliaOlio su tavola, cm 117X96Il dipinto originale realizzato da Raffello è citato dal Vasari nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma di cui si sono perse le tracce nel 1615. Di questa tela esistono numerose copie che ne attestano la straordinaria fortuna illustrativa e la versione oggi considerata autografa si pensa sia quella del Musée Condé a Chantilly. Quello che par certo dalle ultime ricerche è che il regista della sparizione possa esser stato il Cardinale Scipione Borghese, collezionista compulsivo e determinato. Infatti, negli inventari del 1633 e del 1693 della Galleria l'opera risulta al n. 133 e denominata: la Madonna del Velo. L'immagine mostra la Sacra Famiglia e il velo simboleggia il sudario e quindi la Passione di Cristo. A differenza di altre opere, dove si vede una tenda o degli elementi che fanno pensare ad una stanza chiusa, in questo caso lo sfondo è scuro e fa spiccare per contrasto i colori intensi della veste della Vergine, il candore degli incarnati e del lenzuolo su cui è steso il Bambino. Quindi, si presume che la tela qui presentata sia direttamente desunta da quella del museo francese.

Lot 833

(Ancona, 1643 o 1646 - Milano, 1724)Paesaggi con figureOlio su tela circolare, diam. cm 70 (2)I dipinti si riconoscono al catalogo di Antonio Francesco Peruzzini, realizzati nel momento di maggiore contiguità con l'arte di Alessandro Magnasco. L'artista anconetano, giudicato sino a tempi recenti quale semplice subordinato del Lissandrino, è finalmente riconsiderato uno dei suoi più validi coadiutori, specialmente in quelle tele dove il paesaggio ha un ruolo preponderante. Si deve allora convenire con Mina Gregori che lo definisce il paesista più originale e di rottura che si sia affermato alla fine del Seicento, come testimoniano le tele conservate sin dal 1689 presso la Santa Casa di Loreto. È sorprendente come questi dipinti si distacchino dalla consuetudine classicista e siano intellettualmente affini con la visione naturale ed introspettiva del Lissandrino, tanto da impregnarne l'immagine. La loro collaborazione, cominciata nell'ultimo lustro del Seicento, proseguirà per quasi un trentennio. Agli inizi del XVIII secolo la loro presenza è documentata a Livorno al servizio del Gran Principe di Toscana. Si deve rilevare altresì che la stesura del Peruzzini riesce a raggiungere esiti di straordinaria forza pittorica, specialmente quando sembra utilizzare la stessa tela quale tavolozza, aggrumando la pasta del colore in spessori che, in alcuni casi e se letti nel dettaglio, appaiono di sconcertante modernità.Le opere sono corredate da una scheda critica di Giancarlo Sestieri.Bibliografia di riferimento:M. Chiarini, Appunti sulla pittura di paesaggio tra Lombardia e Toscana, in catalogo della mostra Alessandro Magnasco (1667 - 1749), a cura di E. Camesasca e M. Bona Castelletti, Milano 1996, pp. 65-68L. Muti, D. de Sarno Prignano, Antonio Francesco Peruzzini, Faenza 1996, ad vocemM. Gregori e P. Zampetti, Antonio Francesco Peruzzini, catalogo della mostra, Milano 1997, ad vocemA. Delneri, Antonio Francesco Peruzzini, un pittore che si conosce dalla franchezza e dal brio con che tocca tutte le parti de suoi paesi, in catalogo della mostra a cura di A. Delneri e D. Succi, Tavagnacco (Udine) 2003, pp. 59-61

Lot 835

(attivo in Piemonte, notizie 1646-1696) Natura morta con frutta e carciofo Natura morta con fruttaTempera su pergamena, cm 28,5X38 (2)Octavianus Montfort (documentato in Piemonte tra il 1680 e il 1689) è un artista noto per la produzione di raffinate nature morte dipinte a tempera su pergamena. Notizie che lo riguardino sono scarse e le fonti artistiche non riportano informazioni utili a definirne la vicenda biografica. I primi passi della ricerca si devono ad Isarlow che nel 1935 pubblicò una natura morta firmata custodita in una collezione privata parigina. La probabile origine piemontese del pittore si deve ad Andreina Griseri che, in occasione della mostra sulla Pittura Barocca in Piemonte del 1963, pubblica una serie di opere del Castello di Settime, mentre nel 1971 la Pettinati rende nota una seconda natura morta firmata. A tutt'oggi, però, le due sole composizioni datate ; quella del 1680 raffigurante il Bambino Gesù in meditazione e il Vaso di fiori del 1689, ambedue di collezione privata ; non risolvono completamente le problematiche di dare una sequenza cronologica al suo catalogo, come affrontato da Marco Rosci in uno studio del 1985 e da una più precisa definizione dell'artista dal Chiapatti, in una recente mostra curata da Alberto Cottino. Da queste ricerche è possibile stabilire che l'attività del Monfort parta dagli esempi di Giovanna Garzoni, attiva a Torino dal 1632 al 1637, a cui si possono accostare le giovanili pergamene del Museo di Asti. Le opere qui presentate si possono ricondurre alla sua produzione.Bibliografia di riferimento:P. Chiapatti, M. Rosci, Octavianus Monfort, 1985, Torino, ad vocemA. Cottino, Octavianus Monfort, in Natura morta italiana tra Cinquecento e Settecento, catalogo della mostra a cura di M. Gregori e J. G. Prinz von Hohenzollern, Milano 2002, p. 104, con bibliografia precedente

Lot 839

(Piacenza, 1650 - Parma, 1732)Scena di cortile Olio su tela, cm 127X101Attribuito ad Angelo Maria Crivelli detto Crivellone (attivo a Milano tra il 1690 e il 1730) da Gianluigi Veronesi, la tela presenta un efficace impatto decorativo ed esiti di stile che suggeriscono l'attribuzione a Felice Boselli. Il naturalismo con cui l'artista descrive i diversi elementi evoca le composizioni di Felice Rubbiani (Modena 1677 - Villa San Pancrazio 1752) e Arcangelo Resani (Roma 1670 - Ravenna 1740), ma con una sensibilità più pittorica che descrittiva e un marcato arcaismo, che ricorda le composizioni giovanili di Felice Borselli (Piacenza 1650 - 1732), autore a cui la tela è tradizionalmente attribuita. A confronto si cita il dipinto raffigurante 'Gallo, gallina e pulcini' esitato presso Sotheby's a Firenze il 13 ottobre 2009, lotto 576.Il dipinto è corredato da una perizia di Gianluigi Veronesi che lo attribuisce ad Angelo Maria Crivelli detto Crivellone. Bibliografia di riferimento:G. Godi, Fasto e Rigore. La Natura Morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVIII Secolo, catalogo della mostra, Milano 2000, ad vocemD. Benati, L. Peruzzi, La Natura morta in Emilia e in Romagna. Pittori, centri di produzione e collezionismo fra XVII e XVIII secolo, Milano 2000, ad vocem

Lot 840

Uccellino, conchiglie e insetto Tempera e matita su carta, cm 14X17Dalla forte connotazione naturalistica questa pergamena presenta aspetti di stile e scrittura che evocano gli esiti di Maria Sibylla Merian (Francoforte, 1647 - Amsterdam, 1717), la cui formazione e passione scientifica si trasformò di conseguenza in un'attività pittorica come si evince nell'introduzione delle Metamorphosis insectorum Surinamensium: 'In gioventù mi dedicai a ricercare insetti: cominciai con i bachi da seta nella mia città natale di Francoforte. Osservai poi che essi, come altri bruchi, si trasformavano in belle farfalle notturne e diurne. Questo mi spinse a raccogliere tutti i bruchi che potevo trovare per osservarne la trasformazione. Ma, per disegnarli e descriverli dal vero con tutti i loro colori, ho voluto esercitarmi anche nell'arte della pittura'. Questa raccolta di disegni forma la base dei suoi primi due libri: il primo viene edito nel 1675 con il titolo Neues Blumenbuch (Nuovo libro di fiori) ; una seconda edizione, in due volumi, intitolata Florum fasciculi tres, esce nel 1680 e comprende 36 tavole di incisioni colorate di fiori con una particolare cura di dettagli.

Lot 843

(Ascoli Piceno, 1664 - 1727)Pettirossi su ramo con ghiande Tempera su pergamena, cm 22X16 (2)Sull'esempio delle pergamene di Giovanna Garzoni e dei miniaturisti da lei influenzati, la critica, sin dal noto volume sulla natura morta italiana curata da Federico Zeri e Francesco Porzio nel 1989, ha delineato il profilo biografico e il catalogo di vari artisti dediti a questo particolare genere pittorico. Si può citare a esempio, Angelo Maria Colomboni e il monogrammista FA, attivi in Umbria nel XVII secolo e nella regione delle Marche, il miniatore ascolano riconosciuto in Pier Sante Cicala attivo tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento. Le pergamene in esame si attribuiscono a quest'ultimo in virtù dello stile e della peculiare qualità descrittiva. Infatti, trovano precisi spunti di confronto e analogie con quelle custodite presso la Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, che presentano medesime caratteristiche di stile e stesura, soprattutto se si osservano le foglie e i piumaggi (in modo particolare Cfr. Casale, p. 128, n. 51 e p. 134, n. 56). Per quanto riguarda l'attribuzione, una ulteriore conferma è offerta dalla miniatura firmata raffigurante un cardellino e uno scricciolo su una pianta di corbezzolo appartenente a una collezione privata milanese. É importante evidenziare la buona conservazione delle opere qui presentate, indubbiamente migliore di quelle conservate alla Pinacoteca di Ascoli.Bibliografia di riferimento:L. Teza, in La natura morta in Italia, a cura di F. Zeri e F. Porzio, Milano 1989, II, p. 64, fig. 755-756G. Casale, Gli incanti dell'iride, Giovanna Garzoni pittrice del Seicento, Milano 1996, pp. 126-139

Lot 845

(Porto Ercole, 1698 - Napoli, 1755)Natura morta con tazzine, dolci, fiori e bacile Olio su tela, cm 22X37Allievo di Andrea Belvedere e di Gaspare Lopez, Giacomo Nani crea nature morte dal sentito animo naturalistico, in affinità con Tommaso Realfonso (Napoli, 1677 circa - post 1743), costruendo le sue composizioni ispirandosi a moduli compositivi ed estetici desunti dalle opere di Giovanni Battista Ruoppolo (Napoli 1629-1693) e Giuseppe Recco (Napoli 1634 - Alicante 1695). Secondo il De Dominici, l'artista era il miglior allievo del Belvedere: 'pittore universale in tutto quello che può dipingere un professore'. Il nucleo più cospicuo e valente del suo catalogo è composto da nature morte di fiori, eseguite con uno stile prossimo a quello di Gaspare Lopez (Napoli 1650 - Firenze 1740), seguendo uno sviluppo tendenzialmente rococò, in similitudine a Nicola Casissa, per poi sviluppare un genere naturamortistico di gusto animalier e neonaturalista prettamente seicentesco. Bibliografia di riferimento:N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1988, pp. 65-69; 96, figg. 196-199A. Tecce, Giacomo Nani, in La Natura morta in Italia, Milano 1989, vol. II, p. 960M. Santucci, in Museo Nazionale di Capodimonte. Dipinti del XVIII Secolo, la scuola napoletana. Le collezioni borboniche e postunitarie, Napoli 2010, p. 130, n. 99 a-b, con bibliografia precedente

Lot 847

(Milano 1623 - 1683)L'esodo da Gerusalemme Olio su tela, cm 96X134Provenienza:Milano, Finarte, 17 maggio 1979, lotto 52Bibliografia:A. Busiri Vici, Giovanni Ghisolfi (1623-1683). Un pittore milanese di rovine romane, Roma 1992, p. 57, n. 9Si avverte la difficoltà da parte del grande pubblico di percepire Giovanni Ghisolfi un importantissimo antesignano di un genere pittorico che solo nel XVIII secolo e con Giovanni Paolo Pannini conseguirà una fortuna illustrativa straordinaria. Si evidenzia la distanza qualitativa tra il dipinto in esame e le innumerevoli tele che attraversano il mercato antiquario, che sono in gran parte da ricondurre senza appello all'ambito delle copie. Il distinguo appare evidente osservando la bellezza della stesura, del tessuto pittorico, con le sue profondità e accensioni di lume, di tono e con la sua precisione disegnativa. Ghisolfi, ricordiamolo, è nato a Milano, si formò in ambito familiare e si trasferì a Roma per sua fortuna intorno al 1650, beneficiando della lezione cortonesca ma soprattutto del periodo trascorso in collaborazione con salvator Rosa, dedicandosi a dipingere paesaggi e vedute architettoniche. Questa propensione paesistica e archeologica rivelò presto un'intima vena classicista, contrassegnata da eleganti equilibri compositivi, che, non lo si ripeterà mai abbastanza, costituiranno un precedente essenziale per il Panini. Tipico del suo stile è altresì la modalità con cui costruisce le sequenze prospettiche, trattando lo sfondo con una cromia chiara e leggera, quasi argentea, mentre i brani d'architettura sono delineati con pennellate accurate e precise, forti contrasti e tocchi di nero nei dettagli plastici. È interessante anche notare come traspaiano nei brani di figura curiose reminescenze venete, che rammentano nel loro sviluppo quelle di Giulio Carpioni, specialmente se osserviamo le figure femminili. Si compie così una curiosa miscela di istanze norditaliane con lo stile rosiano, il medesimo che si esprime nella tela del Museo Nazionale di Praga (Busiri 1992, p. 79, n. 32) e in quelle di Collezione Almagià (Busiri 1992, pp. 80 ; 81, nn. 33 ; 34), tele le cui figure sono dal Busiri attribuite a Salvator Rosa.

Lot 848

(attivo in Lombardia circa 1700 - dopo il 1716) Natura morta con tralci d'uva, fragole e pesche Olio su tela, cm 75X102Provenienza:Casalmaggiore, Galleria d'OrlaneQuesta esuberante natura morta è stata riferita a Gilardo da Lodi da Ulisse e Gianluca Bocchi, studiosi che hanno riordinato il catalogo dell'artista distinguendone la produzione rispetto a quella generalmente assegnata a Antonio Gianlisi (Ponte dell'Olio 1655 - Crema 1713). La struttura compositiva vede in primo piano i tralci d'uva e i grappoli, ai lati appoggiati su basamenti in pietra si vedono i frutti. La regia luministica che scorre attraverso i diversi elementi naturali è modulata per dare maggior risalto possibile alle forme e alle sfumate tonalità dei frutti, in modo particolare agli acini d'uva, mentre le foglie con le loro cangianti cromie autunnali, creano un vibrante gioco chiaroscurale.Bibliografia: U. Bocchi, G. Bocchi, in Gilardo da Lodi e la pittura d'uva in Lombardia nel Seicento e nel Settecento, a cura di Tino Gipponi, Milano 2004, pp. 162 ; 173

Lot 849

(Bologna, 1680 - 1753)Natura morta con cacciagione, fiori e sporta di viminiOlio su tela, cm 61X75Bibliografia:C. Vitali, in La pittura bolognese del '700, a cura di A. Cera, Milano 1994, n. 1Il dipinto in esame evoca gli esiti pittorici migliori del pittore bolognese Candido Vitali, che si formò a Bologna con il Pasinelli e con il Cignani a Forlì. L'autore fu ampiamente lodato da Luigi Crespi per il singolare gusto di tinteggiare e per la leggerezza di pennello. La critica moderna nella personalità di Anna Colombi Ferretti, ricorda che l'artista beneficiò di un successo straordinario, mentre numerosissime sono le tracce documentarie negli inventari delle antiche collezioni felsinee. La studiosa sottolinea altresì i rapporti di stile con il Crespi e Arcangelo Resani, evidenziando che il suo successo fu dettato dalla varietà estetica delle creazioni, concepite con una materia vivace nel colorito, pienamente barocca nell'espressione ma al contempo leggiadra e concettualmente settecentesca per il gusto ornamentale. Realistica è poi la ricercatezza nel dipingere gli animali dal vero, così la mimesi nel descrivere i fiori e le loro modulazioni cromatiche accentuate da una luminosità vibrante e la tipica sporta di vimini.Bibliografia di riferimento:D. Benati, in La Natura morta in Emilia-Romagna, Milano 2000, pp. 122-134

Lot 851

(San Giovanni Bianco, 1609 - Bergamo, 1679)Ritratto di famiglia Olio su tela, cm 97,5X72Il dipinto è stato ricondotto al catalogo di Carlo Ceresa da Mina Gregori che ne pone l'esecuzione al quarto decennio. I volti degli effigiati esprimono una sensibilità naturalistica spiccata ma modulata su esempi che evocano le coeve creazioni del Sassoferrato. Lo si percepisce osservando il pallore lucido degli incarnati e i toni cromatici, aspetti che appaiono solo superficialmente arcaizzanti, ma agevolano con delicatezza la capacità dell'artista di descrivere la realtà. La tela trova altresì confronto con il 'Ritratto di famiglia' pubblicato dal Ruggeri nel 1979 (cfr. U. Ruggeri, Carlo Ceresa. Dipinti e disegni, Bergamo 1979, p. 133).L'opera è corredata da una perizia scritta di Mina Gregori.Bibliografia di riferimento:Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione, catalogo della mostra, a cura di S. Facchinetti, F. Frangi, G. Valagussa, Cinisello Balsamo 2012, ad vocem

Lot 852

Vienna 1812 ; 1865Sansone e DalilaFirmato C Rahl e datato 1854 in basso a sinistraOlio su tela, cm 119X171Provenienza:Collezione di Lady Herm Collezione Adolf Stolz Esposizioni:Mostra d'arte di Colonia, 1861Mostra di Rahl presso l'Associazione d'arte austriaca, 1865Mostra d'arte storica di Vienne 1877Viene Kunstlerhaus, 1912Bibliografia di riferimento: C Von Wurzbach, Lessico biografico des Kaiser hums Osterreich Boetticher, n. 74 ad vocem C Bodenstein Hundret Anni di storia dell'arte a Vienna, Vienna 1918 ad vocem Carl Rahl era figlio dell'incisore Carl Heinrich da cui apprese le sue prime lezioni d'arte. Studiò all'accademia di Vienna, completando la sua formazione a Monaco e a Roma dove soggiornò dal 1836 fino al 1843 diventando membro della Ponte Molle Society e della German Artists Association. In Italia si avvicinò anche alla scuola d'arte veneziana da cui trasse importanti ispirazioni. Il suo stile fu fortemente influenzato soprattutto in merito al colore e allo studio della prospettiva. Apprezzato esponente della pittura monumentale storico-allegorica, lavorò spesso con l'architetto Hansen. Fu anche apprezzato ritrattista.Nel 1850 divenne professore all'Accademia di Belle Arti di Vienna ma, per ragioni politiche, si dovette dimettere dall'incarico. Aprì allora una scuola d'arte privata che raggiunse subito un notevole successo, soprattutto per la realizzazione di dipinti monumentali di carattere storico-allegorico. Rahl è considerato il precursore di Hans Makart, i suoi dipinti sono fortemente influenzati dalla pittura rinascimentale e barocca italiana. Nella grande tela, è rappresentata in maniera magistrale la scena raffigurante Sansone e Dalila.

Lot 853

(Nijmegen, 1610 - Delft, 1677)La cuoca Firmato W. V. Od? Olio su tela, cm 100X122Provenienza:Da etichetta sul retro: Gemeentemuseumdi Den Haag, inv. n. 22-51Amsterdam, vendita Paul Brandt il 16 ; 19 maggio 1972, n. 33Amsterdam, Kunsthandel Gebr. Douwes 1972 e 1984Haag, vendita Glerum 1994Esposizioni:Londra, Douwes, cat. N. 16 (come Jan de Bray)Willem van Odekercken nel 1631 era attivo a Haag e dal 1643 è documentata la sua presenza a Delft. La tela in esame è tipica della sua produzione, dedita a descrivere scene di cucina con giovani cuoche, nature morte e animali. Dall'osservazione diretta della nostra composizione possiamo ben valutare le qualità mimetiche e descrittive del pittore, in modo particolare nel raffigurare i frutti e i canestri, ma ancor più, nel modo in cui riesce a dar vitalità agli animali, che divengono vere e proprie presenze, 'ritratti', con la medesima cura delle persone. A confronto con il dipinto qui presentato è la simile 'Cuoca con bacile di porcellana, mele e un oca' esitata presso la Christie's di Amsterdam il 10 novembre 2008, lotto 7.Bibliografia di riferimento:H. Wichmann, Mitteilungen über Delfter Künstler des XVII. Jahrhunderts, Oud-Holland 42,1925, pp. 60 -71E. Gemar-Koeltzsch, Hollandische stillebenmaler im 17. Jahrhundert, Lingen 1995, III, pp. 752 ; 753

Lot 854

(Venezia, 1699 - 1763)PastorellaOlio su tela, cm 94X76Le fonti storiche concordano nel confermare che Giuseppe Nogari fu allievo di Antonio Balestra, sottolineando che nel periodo che passò alla sua scuola, non diede mai contrassegni di quella egregia maniera, tenera, pastosa, vaga e naturale, che da sé si formò di poi (Orlandi- Guarienti, 1753, p. 235). Formazione che si presume sia proseguita sino al 1718 e in seguito raffinata con il Piazzetta, mentre la registrazione alla Fraglia dei Pittori veneziani avvenuta nel 1726 segna l'inizio della sua autonomia professionale. La tela in esame esprime al meglio la maniera dell'artista, la cui fama presso i contemporanei si deve al peculiare talento nel creare teste di carattere sugli esempi di Piazzetta e di Giovanni Battista Tiepolo, ma anche eleganti ritratti di genere. Ad assecondare questa attitudine fu, secondo Guarienti, il marchese milanese Ottavio Casnedi. Costui 'intendentissimo dell'arte, ed avendo osservato nel Nogari un certo spirito e grazia nel far le mezze figure, gli diede commissione di farne parecchie, intorno a cadauna delle quali avendogli detto il suo giudizio, e datogli utili avvertimenti, di questi tanto egli si approfittò, che in poco tempo colla sua nuova singolare maniera ad un distinto grado di reputazione salì' (Orlandi- Guarienti, 1753).Bibliografia di riferimento:P. A. Orlandi ; P. Guarienti, Abecedario pittorico accresciuto da Pietro Guarienti, Venezia 1753, p. 235.R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 570-578Teste di fantasia del Settecento veneziano, catalogo della mostra a cura di R. Mangili e G. Pavanello, Venezia 2006, ad vocem

Lot 857

(Firenze, 1535 - 1591)Compianto su Cristo morto Olio su tela, cm 116X95Lo stile e la composizione del dipinto suggeriscono l'attribuzione al pittore fiorentino Giovanni Battista Naldini e in modo particolare grazie al confronto con le tele di medesimo tema custodite nelle chiese di Santa Maria Novella e di Santa Croce a Firenze. Il carattere di queste opere bene risponde al sentimento devozionale post-tridentino incoraggiato da Cosimo I e che segnerà la produzione artistica tardo cinquecentesca toscana. Il paragone con le opere citate fa supporre una datazione alla seconda metà del secolo, verosimilmente dopo il soggiorno romano dell'artista avvenuto intorno al 1575. Nella Città Eterna, Naldini lavorò a San Giovanni Decollato e a San Giovanni dei Fiorentini, oltre ad affrescare la cappella Altoviti a Trinità dei Monti. A questo momento storico, per analogia cromatica e regia scenica, possiamo, con la dovuta prudenza, datare la tela in esame. Anche se una maggiore corrispondenza si coglie osservando la Deposizione dalla croce eseguita dal pittore fra il 1575 e il 1584, per la Cappella di Lodovico da Verrazzano in Santa Croce, elogiata dal Borghini 'per le molte copiose di figure e vaghissima di colorito', secondo una riscontrabile scelta narrativa.Bibliografia di riferimento:R. Borghini, Il Riposo (1584), I, Milano 1967, pp. 101, 112, 114, 190, 197, 205, 588, 613-619A. Giovannetti, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1987, II, pp. 779

Lot 858

(Bologna, 1530 - Roma, 1576)Madonna col Bambino e San GiovanninoOlio su tela, cm 95X76Bolognese di nascita e collaboratore del Primaticcio, l'attività di Sabatini si svolse prevalentemente a Bologna, ma furono fondamentali i suoi soggiorni a Firenze e a Roma. Nella città granducale lo vediamo lavorare con Giorgio Vasari nella decorazione di Palazzo Vecchio e compare nel 1565 tra gli artisti che realizzarono l'allestimento per le nozze di Francesco de' Medici. Sempre nello stesso anno risulta iscritto come pittore forestiero all'Accademia del Disegno. Da questi pochi dati si desume che il pittore riscuoteva un discreto successo in un ambiente artistico fiorentino assai competitivo all'epoca. Guardando la sua produzione si scorge assai bene una monumentalità peculiare al manierismo di gusto vasariano e una sorta di classicità che lo poneva all'avanguardia nei decenni subito successivi alla metà del secolo. Senza elencare le innumerevoli commissioni ottenute a Bologna, risulta importantissima quella del 1570 per 'La Madonna Assunta in cielo con angeli' (Pinacoteca Nazionale Bologna): una splendida pala, giocata su forti effetti chiaroscurali, colori squillanti e arditi scorci prospettici. 

Lot 861

(Rizzolo San Giorgio, 1677 - Cremona, 1727)Natura morta Olio su tela, cm 66,5X82,5La tela qui trova confronto con la produzione artistica di Antonio Gianlisi la cui vicenda critica è stata recentemente analizzata da Alberto Crispo. Lo studioso, riprendendo le importanti ricerche condotte da Gianluca e Ulisse Bocchi e Alessandro Morandotti giunge ad una ricostruzione storica di miglior precisione (Bocchi 1998, pp. 172-173, figg. 211-213). Peculiari al pittore sono le opere che esibiscono eleganti tappeti, sfarzosi tessuti e vivaci vasi fioriti che, per l'intrinseca esuberanza cromatica, le modalità compositive e di stesura, consentono come in questo caso un facile riconoscimento attributivo.Bibliografia di riferimento:F. Arisi, Natura morta tra Milano e Parma in età barocca, Piacenza 1995, ad vocem

Lot 862

(Milano, notizie dal 1662 al 1675)Natura morta con frutta, funghi e carciofoOlio su tavola, cm 24X38,5La critica ha solo recentemente identificato la realtà anagrafica del cosiddetto 'Pittore di Carlo Torre', noto sotto il nome di Pseudo Fardella (cfr. L. Salerno, La natura morta italiana, Roma 1984, pp. 280-281). La scoperta da parte di Alberto Crispo di un monogramma (A. M. R) su una tela ha permesso di identificare l'artista in Angelo Maria Rossi, documentato in Lombardia attorno alla metà del XVII secolo (cfr. G. Cirillo, Angelo Maria Rossi alias Pittore di Carlo Torre, in Parma per l'arte, 2003, pp. 77-80). Al Rossi vanno dunque attribuite queste eleganti nature morte in cui l'ambientazione crepuscolare, la luminosità che si accende accentuando le cromie dalle profonde tonalità, evocano il fare pittorico dell'artista. Lo stile trova altresì affinità con la tele note e pubblicate da Giuseppe Cirillo nel catalogo della mostra dedicata alla Natura morta nell'Italia settentrionale (pp. 156-157, n. 47), in cui si riscontrano simili morbide stesure.Bibliografia di riferimento:G. Cirillo, G. Godi, Le Nature morte del pittore di Carlo Torre (Pseudo Fardella) nella Lombardia del secondo Seicento, Parma, 1996, ad vocemG. Cirillo, in La Natura morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVII secolo, catalogo della mostra a cura di G. Godi, Milano 2000, pp. 156-161

Lot 863

(attivo a Roma nel XVII secolo)Quattro apostoli Olio, in prima tela, cm 65,5X48,5 (4)Scarne le notizie storiche e critiche inerenti a Felice Ottini, a noi noto per essere stato allievo di Giacinto Brandi e per le due tele custodite nella chiesa romana di Gesù e Maria in via del Corso. Ad osservare le opere ivi citate, sono infatti chiari i punti di contatto con il celebre pittore, in modo particolare se osserviamo la Maddalena penitente che solo in virtù documentaria è agevole riconoscere al nostro. Ma per aggiungere utili considerazioni all'analisi, i quattro apostoli qui presentati esibiscono una verve pittorica degna del miglior tenebrismo romano, evocando oltre al Brandi gli esiti o le conseguenze stilistiche di Pier Francesco Mola e del singolare Francesco Giovani (Matelica, 1639 - Roma, 1669), artista anch'esso partecipe del gusto molesco e autore delle bellissime teste di carattere custodite nella collezione Doria Pamphilj (cfr. A. Delpriori, M. Francucci, Francesco Giovani 1639-1669, Maltignano 2016). Ma oltre a questi esempi, non possiamo dimenticare di far riferimento al celebre Apostolado Cussida, da considerarsi il vero e proprio antesignano illustrativo delle tele in esame. Rimane comunque indubbio che la precoce morte del pittore, verosimilmente avvenuta nel 1697, ha reso difficile la sua storicizzazione e parafrasando i biografi seicenteschi fu una gran perdita.

Lot 864

(attivo a Roma nel XVII secolo)BattagliaOlio su tela, cm 59X88Le caratteristiche di stile ancora fortemente influenzate da Salvator Rosa e Ciccio Graziani, insieme alla notevole qualità, suggeriscono di ricondurre queste tele alla produzione di Marzio Masturzio (attivo a Napoli e a Roma nel XVII secolo), altresì avvalorata dal buono stato di conservazione delle stesure. I dipinti si possono considerare emblematici per la comprensione del percorso artistico del pittore, la cui biografia scritta da Bernardo De Dominici è accorpata alla vita di Salvator Rosa, di cui l'artista fu allievo, amico e abile imitatore. I due giunsero a Roma e condivisero l'attività aggiornando la loro formazione falconiana sugli esempi cortoneschi e segnando altresì l'evoluzione artistica del Borgognone.Bibliografia di riferimento:G. Sestieri, I Pittori di Battaglie, Roma 1999, pp. 382-393, con bibliografia precedente

Lot 874

Adamo ed EvaOlio su tela, cm 85X84,5Provenienza: New York, Duveen Brothers Inc. Gallery (secondo etichetta posta sul retro della tela) I Duveen Brothers furono i più importanti commercianti d'arte a Londra, Parigi e New York dalla fine del XIX secolo alla metà del XX secolo e portarono in America dipinti e arti decorative di alta qualità provenienti dalle grandi collezioni private europee. Sotto la guida di Joseph Duveen (1869-1939) e assistiti da esperti d'arte, in particolare da Bernard Berenson, i fratelli Duveen monopolizzarono il mercato dell'arte americano per cinque decenni. Duveen Brothers ha contribuito a formare le collezioni d'arte di molti magnati americani e alcune di quest diventarono, alla loro morte, il nucleo di non pochi musei come la Frick Collection. Bibliografia di riferimento:M. Secrest, Duveen l'arte di vendere l'arte, Torino 2007, ad vocem

Lot 875

(Verona, 1487 - Venezia, 1553)Orazio Coclite sul ponte Sublicio Olio su tavola, cm 25X52Provenienza:Londra, Appleby (1948)Roma, Galleria Sestieri (1949)Milano, Christie's, 25 maggio 2011, lotto 7 (come Bonifacio de' Pitati)Bibliografia:S. Simonetti, Profilo di Bonifacio de Pitati, in Saggi e memorie di storia dell'arte, 15, 1986, pp. 111-112- p. 264, n. 44(come Bonifacio de' Pitati)L'immagine descrive Orazio Coclite e documenta la volontà di Bonifacio de' Pitati di mantenere quella porzione di mercato realizzando dipinti alla moda, destinati alla decorazione e al collezionismo. A conferma di questa produzione di successo è infatti una lettera a lui indirizzata da Pietro Aretino nel maggio del 1548, in cui si parla di 'alcune istoriette del cavaliere da Lezze' (P. Aretino, Lettere, IV (1550), a cura di P. Procaccioli, Roma 2000, p. 384), in analogia a esempio con le tavole mitologiche già alla Hallsborough Gallery di Londra dedicate a Cimone e Ifigenia e Perseo e Andromeda, anch'esse destinate a soddisfare raffinati collezionisti.

Lot 876

(Verona, 1487 - Venezia, 1553)Muzio ScevolaOlio su tavola, cm 22X53,7Provenienza:Monaco, Hampel, 25 marzo 2015, lotto 537 (come Bonifacio de 'Pitati)In analogia alla celebre decorazione della camera nuziale Bogherini realizzata a Firenze tra il 1515 e il 1520 da Pontormo, Andrea del Sarto, Francesco Granacci e il Bacchiacca, anche le tavole qui presentate del Veronese furono similmente concepite quali elementi di arredo. A inaugurare a Venezia questa tradizione decorativa fu Giorgione (Ridolfi, 1648), documentando come l'artista fu capace di eludere i sentieri battuti, per dare più gioco e libertà alla pittura, per fare nuove proposte persino in ambito ornamentale, creando opere che, secondo Chastel, non si possono dichiarare indegne del maestro (A. Chastel. Giorgione, Milano 2012, p. 17). Una medesima attenzione critica a questa peculiare produzione da parte del Ridolfi è riservata al De' Pitati chiosando: 'Con tali forme Bonifacio si fece strada all'immortalità, il quale dopo aver dato saggio di molta virtù con le cose numerose operate, cangiò le bellezze dei colori terreni coi splendori del Cielo'. Vittorio Sgarbi stesso pubblicando le sue ricerche sul pittore vi riconosce l'analogia con quelle descritte dal Ridolfi: 'Si sono veduti ancora dipinti da questa mano recinti di letto, casse e simili cose. poste in uso in quei tempi per delizie delle abitazioni, ov'erano figurate istorie sacre e profane le Muse con le insegne loro, i Pianeti, Veneri con Amorini, Satiri, paesi e si fatte gentilezze, dalle quali si sono tratti utili di considerazione, essendo tenute in molto pregio, non vi essendo il meglio impiegato danaro che nelle pitture degli uomini eccellenti'. Si deve così evidenziare il ruolo primario di Bonifacio nel panorama del manierismo veneziano, in modo particolare la sua precoce lettura dei testi del Parmigianino, dimostrando una indipendenza intellettuale sorprendente se pensiamo alla tenace egemonia di Tiziano Vecellio. Di conseguenza, possiamo affermare che persino Veronese e Tintoretto si misurarono con la sua revisione dei modelli tizianeschi, di quelli ideati dal Palma e dal Pordenone, senza tralasciare gli esiti successivi dello Schiavone e del Sustris. Sempre Sgarbi indica come possibili parti di questo ciclo le tele raffiguranti 'episodi di storia romana', indicando la difficoltà di immaginare la disposizione originaria trattandosi di un progetto di grande effetto spettacolare e di accurata esecuzione che dimostra come agli inizi degli anni Quaranta Bonifacio sia oramai un artista di successo, intento a intercettare il gusto di un collezionismo colto, offrendo inedite rappresentazioni di fonti letterarie per lo più estranee alla pittura di grande formato. Bibliografia di riferimento:V. Sgarbi, Giovanni de Mio, Bonifacio de' Pitati, Lambert Sustris: Indicazioni sul primo manierismo nel Veneto, in Arte Veneta, 1981, XXXV, pp. 52 ; 61S. Simonetti, Profilo di Bonifacio de' Pitati, in: Saggi e memorie di storia dell'arte, 15, 1986, n. 44, pp. 111-112; 263 ; 265

Lot 877

(Anversa o Mechelen, ca. 1550 - Treviso, 1604/1605)Scena di cacciaSul retro è posta una etichetta del Sze´pmu¨ve´szeti Mu´zeum di BudapestOlio su tavola, cm 15,5X38,5Giunto a Treviso intorno al 1582, Ludovico Pozzoserrato viaggiò lungo la Penisola soggiornando a Firenze, Roma e Venezia. La sua valenza pittorica è ben evidenziata dalla fortuna critica e commerciale raggiunta precocemente nella città lagunare, tanto da poterlo considerare uno degli artisti più importanti della sua epoca e lodato dal Van Mander per i suoi squisiti paesaggi (Cfr. Karel van Mander, Le vite degli illustri pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi, Roma 2000, p. 359). Il talento del pittore si comprende osservando la capacità di adattare la propria nordica formazione al paesaggio veneto, giungendo a una sintesi di rara maestria e sensibilità, evocando non solo gli aspetti della natura, ma anche a descrivere e influenzare la cultura del giardino 'all'italiana', protagonista di sue moltissime composizioni. Possiamo altresì dire che Ludovico fu in grado di cogliere il carattere 'internazionale' del manierismo elegante e colto di Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese e in particolare dei Bassano, che troveranno in lui un interlocutore colto e utilissimo per aggiornare la loro visione della natura.

Lot 878

(Zara, 1510/1515 - Venezia, 1563)Nascita di AdoneOlio su tavola cm 31X65Provenienza:Venezia, collezione Ettore Viancini (1988)Venezia, collezione privataRiconosciuta alla mano di Andrea Meldolla da Rodolfo Pallucchini nel 1971, la tavola raffigura la Nascita di Adone, secondo Ovidio avvenuta miracolosamente dal fusto dell'albero di mirra. La madre, trasformata in albero dagli dèi, appare con il corpo e il viso di donna, ma con le mani e i capelli mutati in fogliame e i piedi trasformati in radici. L'artista, noto anche come Andrea Schiavone, nacque nella città di Zara in Dalmazia e la sua famiglia era originaria di Meldola, paesino nei pressi di Forlì in Romagna. Alla fine degli anni Trenta del Cinquecento Schiavone è documentato a Venezia e le sue prime opere note si datano alla fine del quarto decennio, esibendo uno stile figurativo fortemente debitore del Parmigianino e dei manieristi italiani. I dipinti della maturità invece, esibiscono un uso innovativo del colore con strutture pittoriche sottili e complesse, che furono di grande ispirazione per Jacopo Bassano, Palma il Giovane, El Greco ed altri artisti. Ancora più importante appare il fatto che le sue creazioni anticipano soluzioni del periodo tardo di Tiziano, mostrando una conduzione rapida, abbreviata, che esemplifica paradigmaticamente quella tecnica cosiddetta 'di tocco' che fece scuola, ma anche scalpore, nel contesto lagunare della metà del secolo, meritando, sul finire del quinto decennio, giudizi inequivocabilmente critici da parte di commentatori del prestigio di Pietro Aretino e Paolo Pino, volti a stigmatizzarne l'eccesso di prestezza e sommarietà d'esecuzione, il difetto di diligenza e rifinitezza e il conseguente effetto di sfrangiamento della forma. La tavola in esame si può collocare alla maturità, in analogia con 'Le storie di Giacobbe' delle collezioni reali inglesi datate al sesto decennio. L'opera è corredata da una perizia di Rodolfo Pallucchini. Bibliografia di riferimento:Splendori del Rinascimento a Venezia. Schiavone tra Parmigianino Tintoretto e Tiziano, catalogo della mostra a cura di E. M. Dal Pozzolo e L. Puppi, Milano 2015, ad vocem

Lot 879

(Treviso, 1500 - Venezia, 1571)Caccia al cinghiale di CaledonioOlio su tavola, cm 31X110Provenienza:Roma, Galleria Bonatti (1948)New York, Galleria Wildenstein & C. (1952) Milano, Finarte, 16-25 marzo 1962, lotto 9Bibliografia:Archivio Zeri, n. 38912 (come Paris Bordone)B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Venetian School, 1957, vol. I, p. 49/vol. II, n. 1127 (come Paris Bordone)G. Canova, Paris Bordon, Venezia 1964, p. 133 (come attribuito a Paris Bordone)F. E. Dabel, Venetian Paintings from Titian to El Greco, New York, Piero Corsini Inc. 1991, pp. 36 - 41 (come Paris Bordone)A. Donati, Paris Bordon, Soncino 2014, pp. 349 ; 340, n. 140 (come Paris Bordone)Il dipinto non raffigura come erroneamente detto la Morte di Adone, ma descrive la caccia al cinghiale Caledonio, che secondo la mitologia greca era di straordinaria possanza e compare in diversi miti come antagonista di grandi eroi. Nato dalla scrofa di Crommio, Caledonio fu mandato da Ares per uccidere Adone quando costui si innamorò di Afrodite. L'artista evoca al meglio la favola pastorale ambientandola in un paesaggio di gusto tizianesco, in parte ancor memore di Palma il Vecchio, connotato da una vivace colorazione e fusione desunta da Giorgione. Infatti, quanto mai emulo dell'artista di Castelfranco è il sentimento cromatico, aspetto che non mancò di osservare il Vasari, ricordando che Paris si mise in animo di volerne per ogni modo seguitarne la maniera, 'e così datosi a lavorare ed a contraffare dell'opere di colui, si fece tale, che venne in bonissimo credito- onde nella sua età di diciotto anni' (Cfr. G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 461-466). Ed è su questo assunto che possiamo quindi collocare alla giovinezza la nostra composizione, prossima per analogie di stile 'all'Apollo e Dafne' conservato al Seminario Patriarcale di Venezia (cfr. Bonicatti 1964) e con 'la Diana cacciatrice e una ninfa' della Samuel H. Kress Foundation di New York. Ma se l'influenza giorgionesca in Vasari assume una valenza topica, è indiscutibile che in quegli anni il Bordon fu l'artista più vicino per sentimento e ricerca al Tiziano. A evidenziare ulteriormente l'importanza dell'opera è altresì la sua autorevole storia critica e collezionistica che sulla scia degli studi di Bernard Berenson, giunge alla Galleria Wildenstein di New York quando il celebre studioso è in procinto di passare il testimone di consulente del celebre antiquario a Federico Zeri. Bibliografia di riferimento:M. Bonicatti, Per la Formazione di Paris Bordon, in Bollettino d'Arte, 1964, IV, serie III, pp. 249 ; 251

Lot 880

Trompe l'oeil Olio su tela, cm 62,5X80 (6)Il tema dell'inganno ottico, o trompe-oeil, caratterizza la pratica del dipingere sin dall'età classica; si ricordano, ad esempio, la celeberrima gara di pittura tra Zeusi e Parrasio narrata nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Si può immaginare la suggestione che suscitò questo episodio nel corso dei secoli successivi e durante l'Umanesimo, basti pensare agli espedienti prospettici di Giotto agli Scrovegni, le finte scansie della Cappella Baroncelli di Taddeo Gaddi, per non parlare delle straordinarie tarsie di Baccio Pontelli nello studiolo di Federigo da Montefeltro. Durante l'età barocca quando la pittura di natura morta assume piena autonomia e apprezzamento, si sviluppa altresì il trompe-l'oeil da cavalletto, che si distingue sino ad assumere una vera e propria caratteristica illustrativa, in cui il virtuosismo tecnico si misura con il realismo e la mimesi degli oggetti più disparati. Di conseguenza, ecco l'esecuzione di angoli di studio, dipinti su mensole o applicati su tavole, carte geografiche e lettere, orologi e strumenti musicali, molteplici possono essere le combinazioni illustrative, mentre minoritario sembra il fine allegorico e morale rispetto alle nature morte o Vanitas. Nel nostro caso le opere recano una attribuzione collezionistica a Carlo Leopoldo Sferini (attivo a Verona tra il 1652 e il 1698), tuttavia il carattere settecentesco dei quadri riportati e la loro affinità con le tele di Rotari suggeriscono una datazione successiva e la mano di un seguace dello Sferini. Bibliografia di riferimento:A. Veca, Inganno e Realtà. Trompe-l'oeil in Europa XVI-XVIII secolo, Bergamo 1980, ad vocem G. Alberti, Inganni dipinti. Trompe-l'oeil nella fototeca Zeri, Ferrara 2015, p. 161

Lot 881

(Venezia, 1518 - 1594)O COLLABORATORE(Giovanni Galizzi da Santa Croce ?- Bergamo, 1500 - 1565)Venere e AdoneOlio su tela, cm 140X250Scorrendo la monumentale monografia dedicata a Jacopo Tintoretto scritta da Rodolfo Pallucchini e Paola Rossi non si riscontrano analoghe opere del maestro. Questo indizio suggerisce che la tela in esame non sia una copia. L'analisi del dipinto evidenzia senza indugi la genesi tintorettesca, tuttavia, negli esiti si percepisce una interpretazione della conduzione pittorica non pienamente all'altezza del pittore. L'analisi induce dunque a ricusare la sia pur ragionevole attribuzione collezionistica, tuttavia non esclude il suo intervento per ciò che concerne l'invenzione disegnativa. Si giunge così a ripensare alla complessità della bottega tintorettesca e alla fase giovanile dell'artista e a meditare sulla personalità ancor poco nota di Giovanni Galizzi da Santa Croce (Bergamo, attivo tra il 1543 e il 1565), noto quale suo collaboratore durante il quinto decennio ma anche collega nella vivace bottega di Bonifacio Veronese quando Jacopo muoveva i primi passi verso una propria autonomia. È quindi chiaro come in questi anni si svolgano i nodi del complesso fenomeno della Maniera lagunare, in cui le innovazioni del Veronese non solo mettono fine al gusto retrò dei Santacroce, ma interpretano e si fanno carico delle nuove istanze culturali instillate dal Parmigianino e dalle diaspore romane. Allora non stupisce la curiosa espressività del putto, che possiamo confrontare con il Gesù Bambino presente nella 'Sacra Famiglia con Santa Caterina e donatore' già Colnaghi pubblicata da Andrea Donati (A. Donati, Tintoretto, punto e a capo. Il problema del catalogo e un'aggiunta ipotetica a Giovanni Galizzi, in 'Studi Veneziani', LXXIII, 2016, p. 262, fig. 1). Così anche la peculiare tipologia della testa femminile il cui il disegno del mento infonde una riconoscibile espressione del volto.

Lot 882

(Urbino, 1528/1535 - 1612)Riposo nella fuga in EgittoOlio su tela, cm 79X65Il dipinto si ispira alla celebre composizione realizzata da Federico Barocci oggi custodita alla Pinacoteca Vaticana ma proveniente dalla Chiesa del Gesù a Perugia e ancor prima dalla collezione di Simonetto Anastagi. Una seconda redazione nota è quella della chiesa di Santo Stefano di Pioppico. Una terza versione ora dispersa è ricordata dal Bellori nel 1672 insieme a quella di Pioppico: 'per lo duca Guidobaldo padre di Francesco Maria colorì un quadretto da camera con la Vergine, che si riposa dal viaggio d'Egitto: siede e con la tazza prende l'acqua da un rivo che sorge, mentre san Giuseppe abbassa un ramo di pomi, porgendone a Gesù Bambino, che ride, e li stende la mano. Questo fu mandato in dono alla duchessa di Ferrara; perché l'inventione piacque, ne replicò alcuna altra, et una ne dipinse a guazzo grande al naturale, che dal conte Antonio Brancaleoni fu mandata alla Pieve del Piobbico suo castello'. La fortuna illustrativa della composizione è anche documentata dall'incisione di Cornelis Cort (1575), oggi conservata al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi.

Lot 883

Madonna con bambino Olio su tela, cm 62X47Il dipinto reca una tradizionale attribuzione a Bernardino Lanino (Mortara, 1512- Vercelli, 1583). Le possibili analogie con la produzione dell'artista piemontese si colgono osservando le tipologie dei volti, che rispondono a quelli inerenti alla sua produzione matura, come si nota ad esempio nell'Annunciazione del Museo Borgogna a Vercelli databile al 1580. Tuttavia, la posa della Vergine e del Bimbo si riscontra già nella tavola raffigurante la 'Madonna in trono col Bambino, Sant'Agostino che presenta un donatore e San Biagio', la cui esecuzione non travalica il 1573. Occorre altresì dire che l'opera suggerisce una datazione al XVII Secolo indicando l'esecuzione da parte di un seguace. Bibliografia di riferimento:G. Romano, Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, ad vocem

Lot 884

(Venezia, 1701 - 1785)Ritratto di uomo con caneOlio su tela, cm 51X36BibliografiaE. Martini, La pittura del Settecento veneto, Udine 1981, p. 545, fig. 798A. Daninos, Pietro Longhi, 24 dipinti da collezioni private, catalogo della mostra, Milano, 1993, n. 13Pietro Longhi fu registrato nel libro dei battesimi della parrocchia di Santa Margherita con il cognome del padre, Piero Falca, di professione argentiere (Moretti, p. 249). Il nome Longhi, di cui si ignora l'origine, è attestato solo a partire dai documenti riguardanti le sue vicende artistiche. Le fonti indicano un primo apprendistato con Antonio Balestra, e fu lo stesso maestro a raccomandarlo a Giuseppe Maria Crespi a Bologna. Tuttavia, poco sappiamo di questo periodo ed è altresì difficile quantificare il tempo di permanenza bolognese, che fu indubbiamente importante per la sua formazione. Volendo dare un giudizio spassionato sulla produzione dell'artista, diremo che il suo merito principale consiste nell'aver introdotto a Venezia il quadro di genere applicando gli insegnamenti del suo maestro Giuseppe Crespi alla società veneziana del Settecento, che egli, senza pretendere agli intendimenti morali di Hogarth e senza possedere la grazia delicata, né il sentimentalismo, né l'acutezza psicologica dei pittori francesi contemporanei, riprodusse fedelmente con amabile realismo e con inimitabile colore locale in mille gustose scenette colte dal vero. In sede di cultura però, andranno certamente ricercate ancora, e pesate meglio, le sue ascendenze non soltanto nel bolognese Crespi, ma soprattutto nella pittura borghese e popolare bresciana e bergamasca, che sulla fine del Sei e sul principio del Settecento, era, col Ghislandi e col Ceruti, la pittura più seria e più sincera di tutta la repubblica veneta. Ma il Longhi prende un passo europeo e si misura con la scala del Watteau e dello Chardin (R. Longhi 1946). Tali descrizioni critiche esplicano al meglio il tenore culturale della tela in esame, che trova nella sua immediata semplicità illustrativa, quasi da scatto fotografico, il senso e l'importanza del pittore come fu riconosciuto da Roberto Longhi. Bibliografia di riferimento:A. Ravà, Pietro Longhi, Firenze 1923R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946; Milano 2017, p. 57T. Pignatti, Pietro Longhi, Venezia 1968, ad vocem

Lot 892

(Milano, 1700/1710 - Torino, 1775)Veduta portuale con vascelliOlio su tela, cm 76X103Il gran numero di opere presentate sul mercato con errate attribuzioni a Francesco Antoniani, ha inquinato non solo il catalogo del pittore, ma anche la sua valenza collezionistica e commerciale. Noto per la produzione di vedute e paesaggi, Antoniani fu il principale esponente di una dinastia attiva a Torino durante il XVIII e la sua produzione fu soprattutto destinata a Casa Savoia per arredare con paesaggi, capricci architettonici e marine le residenze reali. È quindi inevitabile dover prendere atto di questa committenza per giudicare le sue opere, che, come in questo caso, esibiscono una tecnica pittorica di notevole raffinatezza, caratterizzata da larghe campiture di colore condotte con vivacità di pennello ed un peculiare gioco di luci e sfumature. Anche il tema raffigurato è a lui peculiare, ossia la descrizione di vedute ideali di costa mediterranea con figure, rovine architettoniche e navi alla fonda, guardando agli esempi di Joseph Vernet, Carlo Bonavia, Adrian Manglard e Lacroix de Marseille. La letteratura artistica e le fonti ricordano il nostro attivo a Stupinigi, Moncalieri e presso il Palazzo Reale, dove dipinge sovrapporte e decori, contaminandosi altresì con i precetti dell'altro importante paesista li attivo, Vittorio Amedeo Cignaroli.Bibliografia di riferimento:Vittorio Amedeo Cignaroli. Un paesaggista alla corte dei Savoia e la sua epoca, catalogo della mostra a cura di A. Cottino, Torino 2001, p. 145

Lot 893

(Santa Croce, 1490 circa - Venezia, 1556)Madonna col Bambino, San Giovannino e donatoreOlio su tavola, cm 37X45Il dipinto, databile intorno alla prima metà del XVI secolo e dagli evidenti caratteri di stile lagunari, si attribuisce a Girolamo da Santa Croce, che di origine bergamasca svolse il suo apprendistato nella bottega di Gentile e Giovanni Bellini. Le sue 'Sacre conversazioni' ambientate all'aperto e con fondali paesistici sono desunte dal celebre maestro e Girolamo si dedicò ampiamente a diffonderne la tipologia illustrativa, senza tuttavia escludere stilemi desunti da Cima da Conegliano e Palma il Vecchio. È comunque indubbio che durante la maturità, questo genere di opere furono prodotte con la collaborazione del figlio Francesco, ma di cui è difficile rintracciarne con certezza una distinzione filologica. Questa pratica di bottega era certamente comune, tuttavia ,l'evidente arcaismo suggerisce l'esistenza di una committenza ancora legata a tradizioni illustrative belliniane.Bibliografia di riferimento:M. Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, I, Milano 1996, pp. 20, 81, 87, 127, 135A. Tempestini, La Sacra Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, III, Milano 1999, p. 950

Lot 895

Sansone distrugge il tempio dei FilisteiOlio su alabastro, cm 31,5X42Il dipinto reca un'attribuzione alla scuola fiorentina ed è considerato quale studio preparatorio per un commesso marmoreo, ossia quel particolare tipo di mosaico chiamato 'opus sectile' di origine romana nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel modo voluto.

Lot 896

(Roma, 1639 - 1715) Laboratorio dell'alchimistaOlio su tela, cm 50X74La vicenda critica del pittore inizia nel 1964, quando alla mostra dedicata a Cristoforo Munari si esposero dodici nature morte monogrammate G.D.V. L'anonimo artista fu poi riconosciuto da Marco Chiarini nel 1974, quando pubblicò un interno di cucina dai medesimi caratteri di stile firmato Gio. Domen... Valent...no Imola 1681. Da quel momento fu chiaro che le innumerevoli tele realizzate nel territorio imolese e raffiguranti prevalentemente interni di cucina con la profusione di stoviglie, cibi e bacili in rame erano tutte da ricondurre al maestro. Successivamente, la firma per esteso posta su un telaio di un dipinto custodito nella chiesa di San Petronio a Castelbolognese raffigurante Sant'Elena che regge la croce, recava altresì la nascita romana dell'autore e la data 1661. Con gli studi successivi del Salerno (1984), Colombi Ferretti (1989), dei Bocchi e dell'Asioli Martini editi nel 2005, possiamo affermare che la conoscenza sul pittore sia oramai consolidata, mentre nel 1989 la Roio rese nota una tela firmata per esteso e datata Roma 1698, suggerendo di conseguenza che il Valentini a questa data non era più attivo in Romagna. Bibliografia di riferimento:A. Colombi Ferretti, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, F. Zeri, Milano 1989, vol. II, p. 474, nn. 565-568G. Bocchi, U. Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 507-523G. Asioli Martini, Giovanni Domenico Valentini alias G.D.V. pittore di interni e di nature morte, Imola 2005, ad vocem

Lot 897

(Roma, 1639 - 1715) Interno di cucinaOlio su tela, cm 98X133Gian Domenico Valentini era originario di Roma ma lavorò prevalentemente in Romagna, per la precisione a Imola e Ravenna, tanto da esser definito dalla critica un 'maestro emiliano influenzato dai modi di Cristoforo Munari' (Ghidiglia-Quintavalle, 1964- Chiarini, 1974). Dipinse principalmente interni di cucina elaborando complesse composizioni di natura morta raffiguranti utensili in rame, terrecotte, verdure e selvaggina. In lui si colgono le influenze della pittura olandese ed una conseguente passione per creare spazi scenici tenebrosi, dove si muovono indaffarate figure femminili che svolgono umili attività domestiche. Anche nella nostra tela il soggetto non si discosta dalla consuetudine e presenta stilemi tipici dell'artista, in modo particolare osservando i brani di natura morta tratteggiati con intenso realismo. In effetti, l'idea del Valentini quale interprete di un caravaggismo a passo ridotto, sia pur seducente, non aiuta a cogliere la sua affiliazione con i bamboccianti, evidenziando una formazione simbiotica con quegli artisti nordici che popolavano la Città Eterna, per poi abbracciare un gusto tipicamente romagnolo e realizzare le sue nature morte e giungendo, così, a risultati personalissimi.Bibliografia di riferimento:A. Colombi Ferretti, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, F. Zeri, Milano 1989, vol. II, p. 474, nn. 565-568G. Bocchi, U. Bocchi, Giovanni Domenico Valentini, in Pittori di natura morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 507-523G. Asioli Martini, Giovanni Domenico Valentini alias G.D.V. pittore di interni e di nature morte, Imola 2005, ad vocem

Lot 899

(Orzivecchi, 1518/1520 - 1588/1596)Cinque sante Olio su tela, cm 72X96Il dipinto reca un'attribuzione collezionistica a Luca Mombello, artista che sappiamo intagliatore di cornici durante la prima giovinezza, ma che nel 1553 è documentato quale allievo di Alessandro Bonvincino detto il Moretto. Secondo il Fappani, il pittore era inizialmente dedito a produrre piccole opere devozionali arricchite da eleganti cornici Sansovino, tuttavia, siamo ben distanti da poter elencare un corpus di opere, vista una evidente discontinuità e una produzione soventemente incerta tra i modi bresciani e un elegante gusto lagunare (cfr. P. A. Orlandi. Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 351). Bibliografia di riferimento:L. Anelli, Moretteschi bresciani del secondo Cinquecento e del Seicento: da Luca Mombello a Tommaso Bona, in Civiltà bresciana, I, 1992, pp. 23-47A. Fappani, Enciclopedia bresciana, IX, Brescia 1992, pp. 208 s.

Lot 901

(Vilminore, 1714 - Bergamo, 1775)Episodio dei viaggi di GulliverOlio su tela, cm 55,5X72Il tema raffigurato è tipico della produzione di Faustino Bocchi, qui interpretato da Enrico Albricci (Vilminore, 1714 - Bergamo, 1775). Si deve altresì notare che non si conoscono simili composizioni concepite dal Bocchi, attestando l'originalità inventiva della scena. Dal punto di vista illustrativo è importante ricordare la diffusione dei Viaggi di Gulliver, libro scritto da Jonathan Swift in forma anonima nel 1726 e in versione definitiva nel 1735, che ispirò indubbiamente Albricci, a cui non sono estranee le polemiche civili dell'Illuminismo lombardo. Polemiche che troveranno ancora voce in pieno '800 con La Satira contro il villano di Domenico Merlini (1894). Nondimeno, Albricci nelle sue squisite regole della versificazione compendia brillantemente le due poetiche, quella favolistica accentata da un'attenta descrizione naturalistica e quella metaforica, componendo una raffinata commistione tra divertissement, cultura letteraria e istanze sociali.

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