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Lot 1062

(Haarlem, 1591 - dopo il 1637)Paesaggio italiano con pastori Olio su tavola, cm 38X48Originario di Amsterdam, Cornelis Verbeeck svolse la sua attività a Haarlem e la sua prima documentazione è in merito al coinvolgimento in una rissa nel 1609 quando aveva 19 anni (cfr. L. J. Bol, Die holländische Marinemalerei des 17. Jahrhunderts, Braunschweig, 1973, p. 47). Nel 1610 lo troviamo registrato nella Gilda di San Luca e attivo quale pittore di marine, ma nel mentre, sono diversi gli atti giudiziari per rissa in osterie che lo riguardano, tanto da essere bandito da una taverna con l'avvertimento di non offendere, ferire o molestare il proprietario. Oltre a dipingere marine Verbeeck è anche noto per aver realizzato paesaggi italianizzanti come questo in esame.

Lot 1068

(? ; Haarlem, 1666)BaccanaleFirmato P Spyckerman in basso a destraOlio su tavola, cm 72X101Sono scarne le notizie biografiche inerenti a Pieter Spykerman, ma lo sappiamo allievo di Reynier van der Laeck, nato all'Aia tra il 1615 e il 1620 dove morì entro il 1648 e ciò fa supporre che il nostro artista sia nato nella medesima città. Laeck fu altresì allievo o seguace di Cornelis van Poelenburch e di conseguenza si spiega la comunanza iconografica tra la tavola in esame con quelle del celebre maestro. L'opera è corredata da una perizia di Ferdinando Arisi.

Lot 1071

Ecce HomoOlio su tavola, cm 52X41La tavola raffigura una Imago Pietatis, meglio nota come Ecce Homo (Ecco l'Uomo) dalla frase che pronunziò Ponzio Pilato presentando Cristo ai sacerdoti dopo averlo flagellato, confidando che questa potesse essere la massima punizione possibile. La tipologia illustrativa pare ispirarsi a quella concepita da Antonio Allegri nel 1526 e oggi conservata alla National Gallery di Londra. I caratteri di stile indicano però una esecuzione da parte di un artista nordico, verosimilmente fiammingo o spagnolo, come suggerirebbe il tenore drammatico ed espressionista del volto, non distante dagli esempi di Luis de Morales (Badajoz, 1510 - Alcántara, 1586) e di altri maestri del rinascimento iberico, in cui oltre a incidenze locali e mediterranee, spingono il loro realismo guardando l'arte fiamminga.

Lot 1080

(Anversa o Utrecht, 1575 o 1580 - Amsterdam, 1638)PaesaggioOlio su tavola, cm 39X62Il dipinto reca un'attribuzione all'artista fiammingo Gillis Claesz de Hondecoeter, il cui stile fu influenzato da David Vinckboons, e Roelant Savery dedicandosi a dipingere paesaggi e animali. La tavola in esame presenta aspetti qualitativi assai apprezzabili, soprattutto per l'equilibrio formale e cromatico dell'ambientazione atmosferica. Colpisce altresì la conduzione pittorica per descrivere velocemente il terreno e l'eleganza delle sfumature con cui sono delineati gli alberi in lontananza con esiti di straordinaria poesia.

Lot 1081

(Rotterdam, 1618 - L'Aia, 1709)Cacciatore addormentatoFirmato e datato Olio su tela, cm 46X60La tela raffigura una muta di cani a riposo con un bambino addormentato ed è realizzata dall'olandese Beeldemaker, uno dei più noti pittori animalier dei Paesi Bassi e famoso per la descrizione di scene di caccia e di cani, ma di lui si conoscono anche ritratti. Nel 1650 l'artista è registrato alla gilda di Leida, dove lavorò sino al 1676 quando si trasferì all'Aia. L'opera in esame è tipica dell'artista come mostra il confronto con altre sue opere che vedono di consueto uno o due personaggi e gli immancabili cani. Seppur legato al paesaggio, il tema della caccia non diventa mai per Becldemaker spunto per sondare gli umori e le condizioni mutevoli della natura che per lui aveva poco significato se non come scenario per le attività dell'uomo e dei suoi animali. Entro il corpus dell'artista troviamo molti dipinti affini al nostro, tra cui ad esempio Cacciatori e cani in riposo in un paesaggio nel Westfries Museum a Hoorn (Olanda del Nord) (inv./cat.nr 00589- A 4) e quello, dal medesimo soggetto, passato sul mercato antiquario a Londra nel 2005 (archivio RKD- Rijksbureau Kunsthistorische Documentatie, L'Aia), rispettivamente firmati e datati 1695 e 1696.L'opera è corredata da una scheda critica di Raffaella Colace.

Lot 1090

(Roma, 1663 - 1748)Bozzetto Madonna con Bambino e SantiOlio su tela, cm 48,5X38L'opera in esame reca un'attribuzione collezionistica a Michelangelo Cerruti e indicata quale bozzetto per la pala raffigurante la Madonna del Rosario nella chiesa omonima di Roma. Ignorato dai biografi contemporanei o di poco posteriori, il Cerruti viene solo menzionato nella Storia pittorica dell'abate Lanzi assieme ad un altro poco noto pittore del Settecento romano, Biagio Puccini: il Lanzi dice che essi lavorarono sotto i pontificati di Clemente XI e Benedetto XIII e che 'furon tenuti buoni pratici'. Nicola Pio invece ci informa dell'apprendistato pittorico, che cominciò piuttosto tardi, a venticinque anni, sotto la guida di Giuseppe Passeri da cui apprese 'il modo di colorire'. Dei primi due decenni del secolo è con sicurezza tutta una serie di opere ricordate dal Pio: un quadro ad olio con la Presentazione della Madonna al tempio e due piccoli affreschi laterali con l'Annunziata e l'Immacolata Concezione nella chiesa di S. Pietro in Montorio; un affresco con l'Assunzione e una tela con la Natività di Maria in S. Venanzio dei Camerinesi. Bibliografia di riferimento:V. Casale, Diaspore e ricomposizioni: Gherardi, Cerruti, Grecolini, Garzi, Masucci ai Santi Venanzio ed Ansuino in Roma, in Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, a cura di M. Natale, Milano 1984, II, pp. 736 ; 754, fig. 735

Lot 1094

(Anversa, 1564 - 1635)PaesaggioOlio su rame, cm 21X35Il dipinto è stato attribuito alla tarda maturità di Joos de Momper da Ferdinando Arisi, quando la transizione da lui condotta dalla cultura cinquecentesca e manieristica si compie e le sue opere assumono un carattere decisamente naturalistico. Questa evoluzione avviene dopo il viaggio in Italia del 1580, in cui le sue opere tradiscono al meglio l'inclinazione al vero coniugato a una visione emotiva. Ma a tal proposito si deve qui ricordare che Lodewijk Toeput detto il Pozzoserrato (Anversa o Malines, 1550 circa - Treviso, 1604 o 1605), allora attivo a Venezia, fu menzionato come suo insegnante in un inventario del 1624, mentre paiono a lui riferibili gli affreschi nella Chiesa di San Vitale a Roma, precedentemente attribuiti a Paul Bril. Altresì riconoscibilissima è la sua tecnica pittorica in grado di evocare al meglio l'atmosfera e le lontananze prospettiche.L'opera è corredata da una perizia di Ferdinando Arisi.Bibliografia di riferimento:K. Ertz, Josse de Momper der Jüngere. Die Gemälde mit kritischem Oeuvrekatalog, Freren 1986, ad vocem

Lot 823

(Parma, verso la metà del XVII secolo ; Verona, 1750)Natura morta di fiori recisi in vaso modellatoOlio su tela, cm 66X48Provenienza:Londra, Christie's, 18 aprile 1997, lotto 11Vienna, Dorotheum, 9 giugno 1999, lotto 124Genova, Wannenes, 3 marzo 2016, lotto 1322Secondo il Guarienti nell'Abecedario pittorico dell'Orlandi stampato nel 1753, il Biggi 'dipinse fiori con tale naturalezza che pochi l'hanno eguagliato, o però non solo per le case nobili di Verona, ma dalle più cospicue città straniere gli furono ordinate molte opere largamente pagate'. Nato a Parma intorno al 1650, il Biggi lasciò ben presto la città natale per dirigersi a Verona, dove è registrata la sua presenza a partire dal 1680, dopo una probabile formazione a Roma nella bottega di Mario de' Fiori, non documentata, ma attestata da alcuni dipinti che ne mostrano la forte influenza. Il trasferimento nella città scaligera, dove dipinse con successo fino alla morte, fu dovuto forse ad un omicidio commesso in patria o più probabilmente alla predilezione della corte e dei collezionisti parmensi per gli artisti oltremontani. Le due tele della pinacoteca di Siena, uno dei quali firmato 'Foelix Fortunatus de Biggi civis Parmensis aetatis 36 fecit Verone' costituiscono il più importante documento figurativo per costruire il catalogo e la biografia del pittore, che si dimostra uno dei migliori fioranti attivi nel nord Italia durante la seconda metà del XVII secolo. Segnaliamo infine che l'assenza del vaso vitreo visibile in basso a sinistra nelle foto precedenti a questa pubblicata non era originale, ma frutto di un intervento successivo. Bibliografia di riferimento:P.A. Orlandi, P. Guarienti, Abecedario Pittorico, Venezia, 1753, pp. 163-164B. Dal Pozzo, Le vite de' Pittori, degli Scultori et Architetti Veronesi, Verona, 1718, p. 299, appendice p. 40E. A. Safarik, F. Bottari, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, Milano 1989, I, pp. 334-339G. Bocchi, U. Bocchi, Felice Fortunato Biggi detto Felice dei fiori (Parma verso la metà del XVII secolo-Verona dopo il 1680), in Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana fra XVII e XVIII secolo, Firenze 1998, pp. 411-416A. Crispo, Qualche aggiunta per Felice Fortunato Biggi e la pittura di fiori in Emilia-Romagna fra Sei e Settecento, in Parma per l'arte, IX, 1-2, 2003, p. 90

Lot 832

(Urbino, 1843 - Roma, 1520)Sacra FamigliaOlio su tavola, cm 117X96Il dipinto originale realizzato da Raffello è citato dal Vasari nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma di cui si sono perse le tracce nel 1615. Di questa tela esistono numerose copie che ne attestano la straordinaria fortuna illustrativa e la versione oggi considerata autografa si pensa sia quella del Musée Condé a Chantilly. Quello che par certo dalle ultime ricerche è che il regista della sparizione possa esser stato il Cardinale Scipione Borghese, collezionista compulsivo e determinato. Infatti, negli inventari del 1633 e del 1693 della Galleria l'opera risulta al n. 133 e denominata: la Madonna del Velo. L'immagine mostra la Sacra Famiglia e il velo simboleggia il sudario e quindi la Passione di Cristo. A differenza di altre opere, dove si vede una tenda o degli elementi che fanno pensare ad una stanza chiusa, in questo caso lo sfondo è scuro e fa spiccare per contrasto i colori intensi della veste della Vergine, il candore degli incarnati e del lenzuolo su cui è steso il Bambino. Quindi, si presume che la tela qui presentata sia direttamente desunta da quella del museo francese.

Lot 833

(Ancona, 1643 o 1646 - Milano, 1724)Paesaggi con figureOlio su tela circolare, diam. cm 70 (2)I dipinti si riconoscono al catalogo di Antonio Francesco Peruzzini, realizzati nel momento di maggiore contiguità con l'arte di Alessandro Magnasco. L'artista anconetano, giudicato sino a tempi recenti quale semplice subordinato del Lissandrino, è finalmente riconsiderato uno dei suoi più validi coadiutori, specialmente in quelle tele dove il paesaggio ha un ruolo preponderante. Si deve allora convenire con Mina Gregori che lo definisce il paesista più originale e di rottura che si sia affermato alla fine del Seicento, come testimoniano le tele conservate sin dal 1689 presso la Santa Casa di Loreto. È sorprendente come questi dipinti si distacchino dalla consuetudine classicista e siano intellettualmente affini con la visione naturale ed introspettiva del Lissandrino, tanto da impregnarne l'immagine. La loro collaborazione, cominciata nell'ultimo lustro del Seicento, proseguirà per quasi un trentennio. Agli inizi del XVIII secolo la loro presenza è documentata a Livorno al servizio del Gran Principe di Toscana. Si deve rilevare altresì che la stesura del Peruzzini riesce a raggiungere esiti di straordinaria forza pittorica, specialmente quando sembra utilizzare la stessa tela quale tavolozza, aggrumando la pasta del colore in spessori che, in alcuni casi e se letti nel dettaglio, appaiono di sconcertante modernità.Le opere sono corredate da una scheda critica di Giancarlo Sestieri.Bibliografia di riferimento:M. Chiarini, Appunti sulla pittura di paesaggio tra Lombardia e Toscana, in catalogo della mostra Alessandro Magnasco (1667 - 1749), a cura di E. Camesasca e M. Bona Castelletti, Milano 1996, pp. 65-68L. Muti, D. de Sarno Prignano, Antonio Francesco Peruzzini, Faenza 1996, ad vocemM. Gregori e P. Zampetti, Antonio Francesco Peruzzini, catalogo della mostra, Milano 1997, ad vocemA. Delneri, Antonio Francesco Peruzzini, un pittore che si conosce dalla franchezza e dal brio con che tocca tutte le parti de suoi paesi, in catalogo della mostra a cura di A. Delneri e D. Succi, Tavagnacco (Udine) 2003, pp. 59-61

Lot 834

(Ancona, 1643 o 1646 - Milano, 1724)Paesaggi con figureOlio su tela circolare, diam. cm 70 (2)Vedi scheda al lotto precedente.

Lot 837

(Roma, 1608 - 1675 circa)Natura morta di fiori in un vaso istoriatoOlio su tela, cm 73X54Come più volte affermato dalla critica, una sicura distinzione filologica fra i vari membri della famiglia Stanchi non è cosa facile e consiglia una dovuta prudenza. Giovanni nasce nel 1608 ed è di diciotto anni più anziano di Angelo e quindici anni più giovane di Nicolò, si afferma presto come naturamortista di primaria importanza. I documenti lo dicono attivo sino al 1673, mentre di Nicolò sino al 1690, ma certa è la loro stretta collaborazione. Come conferma Alberto Cottino, anche a discapito delle affermazioni di Lanfranco Ravelli, negli antichi inventari inerenti alle loro opere è 'presente solo il cognome Stanchi'. È quindi condivisibile la scelta di non riferirsi a tutti i costi al nome del solo Giovanni. La composizione qui presentata mostra un'indubbia qualità d'esecuzione e documenta alquanto bene la temperie culturale che caratterizza il genere della natura morta tra la severità arcaica o post-caravaggesca e l'esuberanza barocca agli esordi. Inoltre, si colgono le suggestioni del rigore fiammingo e la necessità decorativa o, come coniato dal De Marchi, quel realismo di lusso che pur aderente al vero naturale va incontro alle necessità dell'arredo del periodo. Bibliografia di riferimento:L. Ravelli, Gli Stanchi dei fiori, Bergamo 2005, con bibliografia precedenteG. Bocchi, U. Bocchi, Pittori di Natura Morta a Roma, artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, pp. 245-328

Lot 860

(attiva in Lombardia tra il XVII - XVIII secolo)Cesta di fioriOlio su tela, cm 47,5X65,5Prossima stilisticamente a Margherita Caffi e alla Marchioni, Margherita Crastona fu totalmente ignorata dalle fonti storiche, solo Luigi Lanzi inserisce nei suoi indici una Crastona ma non ne fa poi cenno nel testo. Si deve comunque presumere che sia parente di quel pittore Giuseppe o Gioseffo Crastona nato a Pavia nel 1644, ma la personalità della pittrice rimase un mistero fino al contributo del Morandotti nel 1989 pubblicando quattro dipinti databili al 1715 e indicando che la sua formazione sia avvenuta nella bottega di Margherita Caffi. La tela in esame è quindi un contributo importante per delineare l'ancora scarno catalogo della pittrice, che si mostra una raffinata interprete della natura morta lombarda tra il XVII e il XVIII secolo, altresì aggiornata dagli esempi di gusto francese. Bibliografia di riferimento: A. Morandotti, in La natura morta in Italia, a cura di Federico Zeri e Francesco Porzio, Milano 1989, vol. II, pp 260 ; 261 L. Salerno, Nuovi studi sulla natura morta italiana, Roma 1989, pp. 134 ; 135

Lot 863

(attivo a Roma nel XVII secolo)Quattro apostoli Olio, in prima tela, cm 65,5X48,5 (4)Scarne le notizie storiche e critiche inerenti a Felice Ottini, a noi noto per essere stato allievo di Giacinto Brandi e per le due tele custodite nella chiesa romana di Gesù e Maria in via del Corso. Ad osservare le opere ivi citate, sono infatti chiari i punti di contatto con il celebre pittore, in modo particolare se osserviamo la Maddalena penitente che solo in virtù documentaria è agevole riconoscere al nostro. Ma per aggiungere utili considerazioni all'analisi, i quattro apostoli qui presentati esibiscono una verve pittorica degna del miglior tenebrismo romano, evocando oltre al Brandi gli esiti o le conseguenze stilistiche di Pier Francesco Mola e del singolare Francesco Giovani (Matelica, 1639 - Roma, 1669), artista anch'esso partecipe del gusto molesco e autore delle bellissime teste di carattere custodite nella collezione Doria Pamphilj (cfr. A. Delpriori, M. Francucci, Francesco Giovani 1639-1669, Maltignano 2016). Ma oltre a questi esempi, non possiamo dimenticare di far riferimento al celebre Apostolado Cussida, da considerarsi il vero e proprio antesignano illustrativo delle tele in esame. Rimane comunque indubbio che la precoce morte del pittore, verosimilmente avvenuta nel 1697, ha reso difficile la sua storicizzazione e parafrasando i biografi seicenteschi fu una gran perdita.

Lot 865

(Amsterdam, 1667 o 1670 - 1744)Paesaggio italianizzante con pastori e case sullo sfondo Olio su tela, cm 57X75Di squisito gusto italianizzante, l'esecuzione di questa tela dovrebbe collocarsi tra il 1694 e il 1697 quando è documentata la presenza del pittore a Roma, si contano le sue rare vedute della Città Eterna e paesaggi della campagna laziale, come la 'Veduta del Tevere', custodita dal Museo di Varsavia (1696). In queste opere si osserva quanto sia stato importante per Moucheron l'esempio dei paesisti dell'epoca ma al contempo ci si rende conto della sua autonomia pittorica e intellettuale che lo esenta dall'essere un semplice copista o seguace. La differenza si coglie specialmente analizzando il modo in cui interpreta la luminosità, giocata su complessi controluce senza smarrire la salda concretezza descrittiva e non a caso nella Bent romana fu soprannominato 'Ordinanza', perché sapeva ben comporre. Mostrano un meraviglioso simile talento anche i numerosi disegni, che per qualità sembrano superare i dipinti a olio e denotano, come suggerisce Busiri Vici, uno studio attento di Jan Frans van Bloemen. La nostra tela si può dire esemplare della sua arte e per la storia del paesismo capitolino.Bibliografia di riferimento:L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1978, II, pp. 864-865A. Busiri Vici, Fantasie grafiche romane di Isaac De Moucheron, in L'Urbe, n. 2 marzo ; aprile 1981, ad vocem

Lot 877

(Anversa o Mechelen, ca. 1550 - Treviso, 1604/1605)Scena di cacciaSul retro è posta una etichetta del Sze´pmu¨ve´szeti Mu´zeum di BudapestOlio su tavola, cm 15,5X38,5Giunto a Treviso intorno al 1582, Ludovico Pozzoserrato viaggiò lungo la Penisola soggiornando a Firenze, Roma e Venezia. La sua valenza pittorica è ben evidenziata dalla fortuna critica e commerciale raggiunta precocemente nella città lagunare, tanto da poterlo considerare uno degli artisti più importanti della sua epoca e lodato dal Van Mander per i suoi squisiti paesaggi (Cfr. Karel van Mander, Le vite degli illustri pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi, Roma 2000, p. 359). Il talento del pittore si comprende osservando la capacità di adattare la propria nordica formazione al paesaggio veneto, giungendo a una sintesi di rara maestria e sensibilità, evocando non solo gli aspetti della natura, ma anche a descrivere e influenzare la cultura del giardino 'all'italiana', protagonista di sue moltissime composizioni. Possiamo altresì dire che Ludovico fu in grado di cogliere il carattere 'internazionale' del manierismo elegante e colto di Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese e in particolare dei Bassano, che troveranno in lui un interlocutore colto e utilissimo per aggiornare la loro visione della natura.

Lot 880

Trompe l'oeil Olio su tela, cm 62,5X80 (6)Il tema dell'inganno ottico, o trompe-oeil, caratterizza la pratica del dipingere sin dall'età classica; si ricordano, ad esempio, la celeberrima gara di pittura tra Zeusi e Parrasio narrata nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Si può immaginare la suggestione che suscitò questo episodio nel corso dei secoli successivi e durante l'Umanesimo, basti pensare agli espedienti prospettici di Giotto agli Scrovegni, le finte scansie della Cappella Baroncelli di Taddeo Gaddi, per non parlare delle straordinarie tarsie di Baccio Pontelli nello studiolo di Federigo da Montefeltro. Durante l'età barocca quando la pittura di natura morta assume piena autonomia e apprezzamento, si sviluppa altresì il trompe-l'oeil da cavalletto, che si distingue sino ad assumere una vera e propria caratteristica illustrativa, in cui il virtuosismo tecnico si misura con il realismo e la mimesi degli oggetti più disparati. Di conseguenza, ecco l'esecuzione di angoli di studio, dipinti su mensole o applicati su tavole, carte geografiche e lettere, orologi e strumenti musicali, molteplici possono essere le combinazioni illustrative, mentre minoritario sembra il fine allegorico e morale rispetto alle nature morte o Vanitas. Nel nostro caso le opere recano una attribuzione collezionistica a Carlo Leopoldo Sferini (attivo a Verona tra il 1652 e il 1698), tuttavia il carattere settecentesco dei quadri riportati e la loro affinità con le tele di Rotari suggeriscono una datazione successiva e la mano di un seguace dello Sferini. Bibliografia di riferimento:A. Veca, Inganno e Realtà. Trompe-l'oeil in Europa XVI-XVIII secolo, Bergamo 1980, ad vocem G. Alberti, Inganni dipinti. Trompe-l'oeil nella fototeca Zeri, Ferrara 2015, p. 161

Lot 881

(Venezia, 1518 - 1594)O COLLABORATORE(Giovanni Galizzi da Santa Croce ?- Bergamo, 1500 - 1565)Venere e AdoneOlio su tela, cm 140X250Scorrendo la monumentale monografia dedicata a Jacopo Tintoretto scritta da Rodolfo Pallucchini e Paola Rossi non si riscontrano analoghe opere del maestro. Questo indizio suggerisce che la tela in esame non sia una copia. L'analisi del dipinto evidenzia senza indugi la genesi tintorettesca, tuttavia, negli esiti si percepisce una interpretazione della conduzione pittorica non pienamente all'altezza del pittore. L'analisi induce dunque a ricusare la sia pur ragionevole attribuzione collezionistica, tuttavia non esclude il suo intervento per ciò che concerne l'invenzione disegnativa. Si giunge così a ripensare alla complessità della bottega tintorettesca e alla fase giovanile dell'artista e a meditare sulla personalità ancor poco nota di Giovanni Galizzi da Santa Croce (Bergamo, attivo tra il 1543 e il 1565), noto quale suo collaboratore durante il quinto decennio ma anche collega nella vivace bottega di Bonifacio Veronese quando Jacopo muoveva i primi passi verso una propria autonomia. È quindi chiaro come in questi anni si svolgano i nodi del complesso fenomeno della Maniera lagunare, in cui le innovazioni del Veronese non solo mettono fine al gusto retrò dei Santacroce, ma interpretano e si fanno carico delle nuove istanze culturali instillate dal Parmigianino e dalle diaspore romane. Allora non stupisce la curiosa espressività del putto, che possiamo confrontare con il Gesù Bambino presente nella 'Sacra Famiglia con Santa Caterina e donatore' già Colnaghi pubblicata da Andrea Donati (A. Donati, Tintoretto, punto e a capo. Il problema del catalogo e un'aggiunta ipotetica a Giovanni Galizzi, in 'Studi Veneziani', LXXIII, 2016, p. 262, fig. 1). Così anche la peculiare tipologia della testa femminile il cui il disegno del mento infonde una riconoscibile espressione del volto.

Lot 890

(Amsterdam, 1583 - 1633)Abramo e i tre angeliOlio su tela, cm 105X171La tela esibisce inequivocabili stilemi nordici che suggeriscono l'attribuzione ad un autore olandese o fiammingo. Il tema e il sapore italianizzante, tuttavia, indicano che l'artista abbia visitato la nostra penisola e verosimilmente soggiornato a Roma. Infatti, i caratteri evocano le opere di Cornelis Van Poelenburgh (Utrecht, 1595-1667) ma in modo particolare quelle di Pieter Lastman. Quest'ultimo, il cui soggiorno a Roma è documentato dal 1603 al 1607, fu influenzato dall'arte di Adam Elsheimer e Peter Paul Rubens sviluppando un linguaggio figurativo che esercitò un ascendente decisivo sulla pittura dei Paesi Bassi nel Seicento, coniugando la tradizione del realismo nordico e l'ideale classico italiano.Bibliografia di riferimento:P. Schatborn, Een tekening van Pieter Lastman uit Italië, Kroniek van het Rembrandthuis 2011, pp. 36-41

Lot 895

Sansone distrugge il tempio dei FilisteiOlio su alabastro, cm 31,5X42Il dipinto reca un'attribuzione alla scuola fiorentina ed è considerato quale studio preparatorio per un commesso marmoreo, ossia quel particolare tipo di mosaico chiamato 'opus sectile' di origine romana nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel modo voluto.

Lot 902

(Pomarance, 1553 circa - Roma, 1626) Madonna con il Bambino e angeliOlio su rame, cm 48,5X65Databile ai primi anni del XVII secolo, il dipinto presenta caratteristiche peculiari della tarda maniera centro italiana e in modo particolare di quegli artisti attivi nella Città Eterna ma formatisi o influenzati dall'arte toscana. Pertinente in questo caso è il confronto con le opere di Giuseppe Valeriano (L'Aquila, 1526 - Napoli, 1596) e, in modo particolare, di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio (Pomarance, 1552 circa - Roma, 1626). Il Roncalli, giunto a Roma nel 1582, realizzò la sua prima opera di rilievo per l'oratorio del Santissimo Crocifisso nella Chiesa di San Marcello al Corso, che assieme al ciclo raffigurante la Passione di Cristo e la Vita di San Paolo, rispettivamente nelle cappelle Mattei e Della Valle di Santa Maria in Aracoeli (1585 - 1590), esprimono ancora un linguaggio intriso di stilemi cinquecenteschi, suggestioni dettate dal Cavalier D'Arpino e da quegli artisti impiegati da Sisto Quinto.Bibliografia di riferimento:I. Chiappini di Sorio, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, il Seicento I, Bergamo, 1983, nn. 128/60, 121/49

Lot 904

(Volciano, 1625 - Gargnano, 1700)Vecchio mendicanteOlio su tela, cm 47X36Il dipinto si attribuisce a Pietro Bellotti, che secondo l'Orlandi acquisì fama dipingendo teste di carattere. Nativo di Salò, si trasferì in gioventù a Venezia, ove fu indubbiamente l'arte del Langetti a ispirarlo. Sempre le fonti evidenziano che la sua prima produzione fu quella di eseguire ritratti e figure fantasiose, garantendogli una certa notorietà anche al di fuori del capoluogo. Ai parametri del maestro si adatta bene la tela in esame, che raffigura un mendicante secondo gli stilemi della cultura bambocciante di gusto nordico e lombardo e che trova analogie con la tela esitata presso la Dorotheum il 14 aprile 2015 lotto 3131, forse riconoscibile con quella in archivio Zeri al numero di scheda n. 58037. E' importante rilevare la precocità dell'artista nel raffigurare pitocchi e mendicanti rispetto alla loro più ampia diffusione che nel corso del XVIII secolo si avrà con il Ceruti. Precocità che verosimilmente si ha grazie agli apporti di artisti forestieri come il misterioso Almanach di origini slovene o danubiane o il cosiddetto Maestro della tela Jeans. Bibliografia di riferimento:P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 315L. Anelli, Pietro Bellotti 1625 ; 1700, Brescia 1996, ad vocemA. Orlando, Pietro Bellotti e dintorni. Dipinti veneti e lombardi tra realtà e genere, Torino 2008F. Porzio, Pitture ridicole. Scene di genere e cultura popolare, Milano 2008, pp. 117 ; 141, con bibliografia precedente

Lot 909

(Beverwijk, 1616 - Haarlem, 1677)Veduta costiera con figure (Veduta di Nisida e Capo Miseno)Olio su tavola di quercia d'olanda, cm 33X49Registrato nel 1642 alla gilda dei pittori di Haarlem, Thomas Wijk si recò in Italia presumibilmente nel 1640, l'anno in cui un Tommaso fiammingo pittore è documentato come residente a Roma in Via della Fontanella. E' difficile stabilire quali sono i dipinti realizzati nella Città Eterna perché continuò a realizzare vedute e paesaggi dell'Urbe certamente impiegando disegni e fantasia a seconda delle necessità compositive. Comunque possiamo supporre che le opere che mostrano un maggior senso di immediatezza e realismo siano da collocare al suo soggiorno nella penisola. Opere risalenti al 1640 includono la Veduta dell'Aracoeli (Monaco, Alte Pinakothek), la Piazza del mercato di Portico d'Ottavia (collezione privata) e la Veduta di Napoli con il Vesuvio in eruzione (cfr. All'ombra del Vesuvio, Catalogo della mostra a cura di Nicola Spinosa, Napoli 1990, pag. 285), e la Veduta di porto di combaciante gusto rappresentativo pubblicata nel Catalogo della mostra Nederlandse 17e Eeuwse - ltalianiserende Landschapschilders, Utrecht 1965, fig. 'IS, n. 71, pp. 144-46). Queste opere tradiscono l'influenza di Andries Both, di Pieter van Laer, di Jan Miel e in particolare evidenziano la loro similitudine con le vedute di Asselijn e del Lingelbach, come ben si osserva gurdando le opere pubblicate da Busiri Vici (cfr. Porti, piazze e casolari di Roma e dintomi di Tommaso Fiammingo, in Scritti d'Arte, Roma 1990, pp. 402-410). Tornando alla tavola in esame è quindi verosimile collocarla al momento italiano o poco dopo e, come indica il Sestieri, l'immagine evoca una libera rappresentazione della costa napoletana con Nisida e Capo Miseno (cfr. G. Briganti, Gaspar van Wittel, Milano 1996, fig. 396, pp. 275-77).L'opera è corredata da una scheda critica di Giancarlo Sestieri.

Lot 913

(Mantova? ; notizie a Venezia dal 1636 al 1644 e dal 1660 al 1663)Vaso dorato con fiori recisiOlio su tela incollata su tavola, cm 60X47Attivo a Venezia dove è documentata la sua iscrizione alla Fraglia dei pittori tra 1636 e 1639 quale fiorante e creatore di nature morte, le notizie biografiche sul Mantovano sono tuttora carenti (cfr. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Milano, 1981, I, p. 329), ma le opere note permettono interessanti confronti con la tela in esame. Un utile parametro è il Vaso con fiori bianchi e rossi dell'Accademia dei Concordi a Rovigo, dove i petali di grandi proporzioni e colori vivacemente alternati abbinati a gamme, che variano dal bianco brillante al vermiglio, rivelano un'attenzione formale per l'arte fiamminga ed una cronologia alla fase più arcaica. Sarà il soggiorno romano ad imprimere sull'artista il mutamento in senso barocco della sua arte, grazie alla lezione di Mario Nuzzi, che lo influenzerà all'uso di eleganti vasi istoriati con figure e sormontati da scenografici bouquet. Tornando all'opera in esame, si presume che la sua datazione sia da collocare alla produzione matura, per l'uso del vaso istoriato al posto di quello a grottesche sintomo di un mutamento di gusto oramai in atto e quindi attorno alla metà del secolo. L'opera è corredata da una perizia scritta di Mario Bonzi che riferisce il dipinto a Mario Nuzzi detto Mario dei Fiori.Bibliografia di riferimento:E. A. Safarik, F. Bottari, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio e F. Zeri, Milano 1989, vol. I, pp. 326-328G. Bocchi. U. Bocchi, Francesco Mantovano, in Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana fra XVII e XVIII secolo, Calenzano (Firenze) 1998, pp. 392-410G. Bocchi, U. Bocchi, Francesco Mantovano o Mantovani, in Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana (Mantova) 2005, pp. 203-243

Lot 914

Predella con SantiTempera su tavola, cm 19X90,5L'opera era partecipe in qualità di predella di una pala d'altare o un polittico, la sua funzione era l'ornamento della base inferiore della cornice. Nel nostro caso, l'immagine non ha carattere narrativo, ma mostra una sequenza di Santi riconoscibili dai loro attributi iconografici. Già riferita ad un pittore umbro del XV secolo, lo stile dell'opera presenta interessanti caratteri 'eccentrici' che possono suggerirne la genesi padovana.

Lot 920

(Roma, 1750-1799) Madonna con BambinoOlio su tela, cm 72X57Provenienza:Londra, Bonhams, 5 luglio 2006, lotto 62 (come Pietro Fancelli)Di probabili origini francesi, Giuseppe Cades fu un artista precoce e di talento. Formatosi con Domenico Corvi e all'Accademia di San Luca, mostrò da subito una sensibilità innovativa, mediando tra la cultura barocca e classicista ed esprimendo una rara felicità cromatica e disegnativa. Questi aspetti ben si colgono osservando la piccola tela in esame, quanto mai preziosa nei suoi esiti e che esibisce una felicità pittorica di altissima qualità. I modelli a cui sembra far riferimento il pittore sono la pittura veneta rinascimentale, da cui apprese il gusto del colore, i modelli nordici e specialmente francesi, sorprendendoci altresì per la sua consapevole autonomia rispetto ai colleghi più in voga, come Pompeo Batoni o Anton Raphael Mengs.Bibliografia di riferimento:M. T. Caracciolo, Giuseppe Cades 1750-1799 et la Rome de son temps, Parigi 1990, ad vocem

Lot 925

(Frattamaggiore o Orta di Atella, 1585 circa - Napoli, 1656 circa)Giuditta con la testa di OloferneOlio su tela, cm 108X94La tecnica pittorica e i suoi effetti chiaroscurali appaiono ancor memori dell'intenso naturalismo partenopeo d'inizio secolo, mentre la delicatezza espressiva evoca gli esempi di Guido Reni, autore che con la sua influenza addolcì in senso classico lo stile del pittore. Il guardare e il misurarsi con la scuola bolognese e romana da parte dell'artista si avverte sin dagli anni precoci del suo percorso, per consolidarsi quando giunsero a Napoli Artemisia Gentileschi, il Domenichino e il Lanfranco, mentre più complessa è la relazione con Guido Reni, che con la città ebbe rapporti difficili anche se prolungati, tuttavia capaci di esercitare una profonda influenza, basti ricordare le creazioni del bolognese custodite ai Girolamini. Queste opere modificarono l'iter artistico di Stanzione e ne determinarono la fortuna collezionistica, critica e sociale, come attestano i titoli di Cavaliere dello Speron d'oro e dell'Ordine di Cristo ricevuti nel 1621 e nel 1627 da Gregorio XV e Urbano VIII, che gli consentirono di firmarsi MS EQUES o EQ MAX. Non sorprende allora che Stanzione fu da sempre considerato il dominatore incontrastato della scena artistica napoletana, l'inventore di una pittura sacra dalle dimensioni domestiche e rassicuranti, di un linguaggio in contrasto con la esasperata drammaticità del riberismo e la tela qui presentata ne è un esempio.Bibliografia di riferimento:R. Lattuada, Osservazioni su due inediti di Massimo Stanzione, in Prospettiva, 1989-1990, nn. 57-60, pp. 233-234S. Schutze, T. C. Willette, Massimo Stanzione. L'opera completa, Napoli 1992, p. 190, n. A2, fig. 95

Lot 934

(Bologna 1580 - 1654)San SebastianoOlio su tela, cm 170X106Garbieri ha lavorato nello studio di Ludovico Carracci a Bologna, e per via delle somiglianze stilistiche sono stati sovente confusi. Nel suo articolo del 1989 Brogi traccia i parallelismi stilistici tra i due autori e il catalogo dell'allievo (cfr. A. Brogi, Lorenzo Garbieri. Un incamminato fra romanzo sacro e romanzo nero, in Paragone, 1989, n. 15, pp. 3 - 25). Nel nostro caso possiamo notare che il tema e la tipologia espressiva del Santo trovano confronto con le analoghe iconografie di Ludovico, in particolare con il San Sebastiano della Fondazione Santomasi, tuttavia, il pittore secondo la sua indole tende a accentuare gli aspetti drammatici. In tal senso, le sue opere denotano un affrancamento dalle istanze classiciste, prediligendo un realismo robusto e più intensi contrasti luministici che lo avvicinano, com'è stato indicato dal Malvasia, al gusto del Caravaggio (sec. XVII, p. 89), mutuato o attraverso la conoscenza di opere del pittore lombardo o attraverso il contatto con artisti quali Giacomo Cavedoni e Leonello Spada (cfr. C. C. Malvasia, Scritti originali... spettanti alla sua Felsina pittrice (sec. XVII), a cura di L. Marzocchi, Bologna 1982, pp. 87-105).

Lot 938

San Pietro penitenteOlio su tela, cm 149X110L'immagine trova evidenti analogie con il San Pietro partecipe della pala dedicata alla Madonna della Ghiara oggi custodita al Museo Civico di Cento (olio su tela, cm 130X155) e realizzata dal Guercino intorno al 1618. Questa tela, dove ancor vigorosi sono i ricordi del ferrarese Carlo Bononi, presenta caratteri naturalistici intensi. Il San Pietro si evidenzia per la spiccata fisicità e l'arduo scorcio, avvalorato dalla regia di lume che genera tridimensionalità alla figura. Tornando invece all'opera qui esaminata, si deve osservare che sia pur trattandosi di una chiara citazione, assume grazie al paesaggio di sfondo e all'ambientazione chiaroscurale una indiscutibile autonomia iconografica tramutandosi in un San Pietro Penitente. Rimane quindi da sciogliere il nodo attributivo, riferendo per ora l'opera alla scuola del maestro o a un artista di area ferrarese.

Lot 951

(Bologna, 1665 - 1747) San Pietro Olio su tela, cm 63X50Il dipinto reca un'attribuzione collezionistica a Giuseppe Maria Crespi, qui sospesa per la difficoltà di lettura della superficie pittorica, fermo restando che i caratteri generali dell'immagine, le cromie e la tipologia del volto sembrerebbero pertinenti alla maniera dell'artista (Bologna, 1665 - 1747). Non si può escludere dalla nostra indagine l'ipotesi che l'autore possa essere Luigi Crespi (Bologna, 1708 - 1779), la cui carriera fu dispiegata in un'operosità spesso all'ombra delle commissioni paterne, giungendo a compiere veri e propri plagi, salvo quando si cimentò nella ritrattistica, distinguendosi per la peculiarità di modi e risultati qualitativi. Dal punto di vista illustrativo, possiamo avvicinare la tela in esame ai dipinti raffiguranti San Paolo e San Pietro custoditi nella chiesa di San Giuseppe a Bologna (Merriman 1980, figg. 88 - 89), o con il Sant'Antonio del Museo di Francoforte (Merriman 1980, fig. 107), tuttavia risulta curioso che nella pur datata monografia del Merriman non risulti una simile composizione. Bibliografia di riferimento:M. P. Merriman, Giuseppe Maria Crespi, Milano 1980, ad vocem

Lot 957

Ritratto di damaOlio su tela, cm 59X47Già riferita in collezione a Giovanni Battista Moroni, certamente per le analogie con la ritrattistica del pittore bergamasco e le sue naturali effigi, la tela in esame si preferisce presentarla senza azzardare attribuzioni. Quello che certamente emerge dall'osservazione è l'affinità con i suoi ritratti, che già Carlo Ridolfi, ne Le meraviglie dell'Arte scritte del 1648, definiva eccellenti e naturali, volendo indicare lo scrupolo dell'esatta riproduzione, senza concessioni ad abbellimenti e piaggerie, come prescritto nel 1582 dal cardinale Paleotti nel suo Discorso intorno alle immagini sacre e profane. Un brano di letteratura artistica che spiega di conseguenza assai bene come la qualità della sua arte sia stata di inibizione per imitatori e copisti ma al contempo segnò il genere sino al territorio prossimo a Venezia. Citiamo a esempio il caso padovano di Francesco Apollodoro o del veronese Francesco Montemezzano.

Lot 965

(Bassano del Grappa, 1557 - Venezia, 1622)Ritratto d'uomoOlio su tela, cm 46X60Quarto figlio di Iacopo Bassano, Leandro non ebbe altri maestri dell'arte, che suo padre, e tanto profitto egli fece né primi anni di sua gioventù, che a simiglianza del fratello Francesco in breve giunse in istato di aiutare il padre in que' lavori, che a suo conto dipingeva (Verci, 1775, p. 182). Ancora giovanissimo, dunque, collaborò nella produzione della fiorente bottega insieme con i fratelli Francesco e Giambattista. In questo primo momento è impossibile distinguere la parte da lui avuta, ma ben presto la sua personalità emerge e si fa riconoscere per il progressivo allontanamento dalla tradizione coloristica familiare e dal 1588 abitò stabilmente a Venezia. Ma se è nota ai più la produzione tipicamente pastorale o evangelica ambientata in paesaggi bucolici, Leandro fu un ritrattista di notevolissimo talento, in cui la conduzione di maniera tipica della scuola familiare si annulla giungendo a esiti di notevole realismo e una pittura graffiante, atta a dar vitalità e parola agli effigiati. Doti che ben si percepiscono osservando la tela qui presentata, quanto mai espressiva pur offuscata dalle ossidazioni delle vernici.

Lot 966

Ritratto d'uomoOlio su tela, cm 52X44Il ritratto sia pur presentandosi con ossidazioni e sporcizia superficiale, mostra una bellissima conservazione, ben percepibile avvicinando lo sguardo o ingrandendo un'immagine a alta risoluzione. Non sorprende di conseguenza l'attribuzione collezionistica alla cultura carraccesca e quindi al miglior ambito naturalistico diffuso a Roma da Annibale (Bologna, 1560 - Roma, 1609). Come sappiamo l'artista realizzò straordinari autoritratti dalla straordinaria modernità e introspezione psicologica, creando quel che banalmente vengono descritti come ritratti parlanti. Scendendo al dettaglio nel nostro caso osserviamo la forza espressiva dello sguardo e la sprezzatura con cui il pittore ha dato vitalità all'immagine attraverso una stesura pastosa e mobile, così anche descrivendo i baffi e la barba colti dal vero e affatto di maniera, per finire alla definizione del colletto, mosso e a tratti contornato da rapide e corsive linee di pennello.

Lot 967

(Comunanza, 1660 - Roma, 1738)Giovane musicoOlio su tela, cm 99X74Il dipinto è un importante aggiunta al catalogo del pittore Antonio Mercurio Amorosi; la tipologia è tipica della sua produzione, che ritrae scene di vita quotidiana soprattutto legata al mondo dell'infanzia. La sua formazione avvenne con il conterraneo Giuseppe Ghezzi e seguitò con il figlio di questi, Pier Leone. La fortunata carriera dell'artista è testimoniata da Lione Pascoli, suo biografo ed estimatore, che riferisce come la sua fama si diffuse in Europa e ebbe molte e molte commissioni da diverse città e passate i monti moltissime ne ebbe anche fuori. La tela si data attorno al 1700 e ritrae un giovane che suona la chitarra e in primo piano si vede un brano di natura morta con cipolle e una brocca, offrendoci un'immagine arcadica della fanciullezza.Bibliografia di riferimento:C. Maggini, Antonio Mercurio Amorosi pittore (1660-1738), Rimini 1996, p. 108-109, n. 18 c.O. Virgili, in Antonio Amorosi. Vita quotidiana nel 700. Catalogo della mostra, Venezia 2003, p. 58, n. 9

Lot 985

(Beveren-Waas, 1599 - Torino, 1663)Paesaggio con chiesa e figureOlio su tela, cm 76X100L'opera reca una tradizionale attribuzione a Jan Miel per la stretta analogia compositiva con le tele note del pittore. Il dipinto esprime indubbiamente i caratteri tipici del maestro, non solo per la sua aderenza ai modi dei bamboccianti, ma altresì per la stesura e le tipologie fisionomiche della sua produzione giovanile. Miel è documentato a Roma dal 1636, ma è verosimile che vi sia giunto già nel 1633, facendo parte di quella generazione influenzata da Pieter van Laer, che diffuse la moda di descrivere la vita quotidiana della Città Eterna. La tavola consente d'apprezzare la cura con cui l'artista descrive i diversi protagonisti, le loro gestualità e indumenti, attenzione che indica una visione e uno studio dal vero della vita quotidiana, letta e interpretata senza filtri letterari ma con spiccato naturalismo, sincero e appassionato, impossibile da archiviare sbrigativamente nell'ambito dell'aneddotica o della cronaca spicciola, ma da leggere quale fenomeno denso di motivazioni culturali. L'immagine della 'finestra aperta' adottato da Giuliano Briganti è quindi la via critica migliore per comprendere questo particolare filone della pittura d'età barocca, il cui il nominativo di bambocciante, come rimarca lo studioso, può risultare un diminutivo grottesco e ingiusto da non tenere in 'simpatia'. Alla fine del 1658 il Miel si trasferirà a Torino su invito del duca Carlo Emanuele II, ma la sua arte era già nota in Piemonte sin dal 1651, grazie alla Madonna che presenta il Bambino a Sant'Antonio da Padova realizzata per il Duomo di Chieri. Al periodo sabaudo si collocherebbe la nostra opera, ormai distante dall'accentuato realismo dei primi anni romani.Bibliografia di riferimento:G. Briganti, L. Trezzani, L. Laureati, I Bamboccianti, pittori della vita quotidiana a Roma nel Seicento, Roma 1983, pp. 91 ; 130

Lot 990

Sacra Famiglia e Sant'ElisabettaOlio su tela, cm 67X45Il dipinto è probabilmente un modelletto di studio per una tela di maggiori dimensioni o un non finito e reca un'attribuzione collezionistica a Lazzaro Baldi (Pistoia ca. 1624 - Roma 1703). La costruzione scenica rimanda a modelli di ascendenza cortonesca; al maestro il nostro mutuò tipologie e formule compositive, evitando tuttavia gli eccessi di dinamismo ed impetuosità in favore di impaginazioni più calibrate. Un linguaggio barocco dunque mediato da elementi di ascendenza classicista, dove una ricerca spaziale più regolare, non limita comunque la forza narrativa della sua arte e del suo tocco.

Lot 197

Stonehenge .- Charleton (Walter) Chorea Gigantum; or, the Most Famous Antiquity of Great-Britain, Vulgarly Called Stone-Heng. Standing on Salisbury Plain, Restored to the Danes, first edition, imprimatur f., title printed in red and black, 2 folding woodcut plates, woodcut initials and headpieces, rust hole to H2, not affecting text, occasional light foxing or soiling, 5 woodcut and engraved views of Stonehenge loosely inserted, 19th century half calf, a little rubbed, [Wing C3665], small 4to, for Henry Herringman, at the sign of the Anchor in the lower walk of the New Exchange, 1663.⁂ First edition of Charelton's treatise on Stonehenge in which he argues that it was built by the Danes as a place of assembly and for the inauguration of kings. Including the first printing of a poem by Dryden "o my Honour'd Friend, Dr Charleton, on his learned and useful Works; and more particularly this of Stone-heng, by him restored to the true founders."

Lot 69

Forestry.- Standish (Arthur) New Directions of Experience to the Commons Complaint ... for the Planting of Timber and Fire-wood, title within double-rule border, woodcut royal arms, woodcut initials, head- and tail-pieces, lacking final blank f., but with 2 additional ff. following the dedication f. comprising "The Epistle Dedicatorie" (?from The Commons Complaint, 1611), title and dedication with upper corner restored, title with lower margin restored, small rust hole to C3 and F1 touching text but without significant loss, 20th century half morocco, spine faded, [Fussell p. 33; Henrey 356; STC 23204.5], small 4to, [by Nicholas Okes], 1613.⁂ "[O]ne of the first treatises to be published in this country entirely devoted to forestry" - Henrey. Of this edition, ESTC lists 6 copies only.

Lot 117

[Zouch (Richard)] The Sophister. A Comedy, first edition, title within typographic border with woodcut device, woodcut initials and headpieces, lacking initial blank f., title closely trimmed, affecting border, last few ff. repaired at head without loss to text, worming to inner margin, occasionally touching text, closely shaved at head with loss to some headlines, 20th century morocco-backed cloth, joints rubbed, [STC 26133], by J. O. for Humphrey Mosley, and are to be sold at his shop at the signe of the Princes Armes in Pauls Church-yard, 1639.⁂ Rare, we can trace no copy at auction since 1985.

Lot 128

New England religion.- Cotton (John) The Churches Resurrection, or the Opening of the Fift and sixt verses of the 20th Chap. of the Revelation. By that Learned and Reverend, Iohn Cotton Teacher to the Church of Boston in New England, first edition, title within typograhic border, woodcut initial and headpiece, with final blank f., small marginal repairs to title and A2, occasional light marginal foxing, bookplate to pastedown, 20th century boards, [Sabin 17054; Wing C6419], small 4to, by R. O. & G. D. for Henry Overton, and are to be sold at his shop in Popes-head-Alley, 1642.⁂ Scarce pamphlet by Cotton (1585-1652), minister and so-called "Patriarch of New England". Cotton here compares religion in New England with that practiced in Europe, attacking the Catholic Church in particular, equating it to the seven-headed beast in the book of Revelation.Provenance: Fairfax of Cameron (armorial bookplate).

Lot 1008

Victorian 18ct gold marquise cut bloodstone signet ring, Birmingham 1885 - Condition Report Approx 7.84gm, size O-P, head size = 20mm x 12mm

Lot 1018

Victorian 18ct gold oval bloodstone signet ring, Birmingham 1864 - Condition Report Approx 8.46gm, size O-P, shank has been cut at base

Lot 1028

9ct gold opal and cubic zirconia ring, hallmarked - Condition Report Approx 1.7gm, size O

Lot 1030

Silver and 14ct gold wire amethyst and opal ring, stamped 925 - Condition Report Size O

Lot 1046

Gold oval briolette cut black onyx ring with diamond set shoulders, gold sapphire and diamond half eternity ring and a pair of gold amethyst stud earrings, all hallmarked 9ct - Condition Report Approx 7.75gm gross, rings both size N-O

Lot 1048

Edwardian 18ct gold signet ring, Chester 1909, approx 4.63gm - Condition Report Size O

Lot 1051

Silver and 14ct gold wire opal ring, stamped 925 - Condition Report Size N-O

Lot 1066

9ct gold three stone diamond and blue topaz ring, hallmarked - Condition Report Approx 4.4gm, size O

Lot 1072

Gold garnet set ring, diamond and blue zircon ring and one other, all hallmarked 9ct - Condition Report Approx 6.8gm gross, garnet size L-M, diamond and zircon size L, other size O

Lot 1080

18ct gold five stone diamond ring, hallmarked, diamond total weight approx 1.70 carat - Condition Report Approx 5.4gm, size O

Lot 1082

Gold wedding band, gold tie pin and clasp , all 9ct hallmarked or stamped, approx 4.9gm - Condition Report Ring size N-O, tie pin back pin also hallmarked 9ct

Lot 1090

9ct gold buckle ring hallmarked, approx 3gm - Condition Report Size N-O

Lot 414

9 ct gold and diamond solitaire ring, size O, weight approx 2.1 grams

Lot 416

18 ct gold three stone diamond ring, size O-P, weight approx 2.1 grams

Lot 417

18 ct gold diamond and sapphire ring, size O-P

Lot 420

18 ct gold and diamond ring, weight approx 5.6 grams, size O

Lot 425

18 ct white gold and diamond ring, size O, weight approx 3.5 grams

Lot 434

18 ct gold diamond and aquamarine ring, size O, weight approx 3.5 grams

Lot 437

18 ct gold diamond and ruby ring, size O, weight approx 2.1 grams

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